Che fine ha fatto il castro luculliano di Napoli?

Che fine ha fatto il castro luculliano di Napoli?

Il castro luculliano è uno dei tanti tasselli della “Napoli antica” che si ritrova a fare i conti con l’oblio. Si tratta non di un semplice castello, come la nomenclatura latina potrebbe evocare (castrum lucullanum), bensì di una estensione di fabbricati, una borgata esistita a Napoli nonché luogo di rilievo storico. Il luculliano è legato, infatti, allo sbarco di San Paolo a Pozzuoli, alla residenza di Virgilio nella città o al destino dell’ultimo imperatore romano d’Occidente, Romolo Augustolo, ivi confinato nel 476 d.C., nell’anno della caduta definitiva di Roma per mano del barbaro Odoacre.

Borgo Santa Lucia, storico rione partenopeo, deve il suo sviluppo all’epoca romana preimperiale. Nel I secolo a.C., il generale Lucio Licino Lucullo scelse Napoli per trascorrervi l’età matura. Sfruttando la ricchezza accumulata negli anni, il generale romano acquistò il monte Echia e l’isolotto di Megaride, costruendovi una villa suggestiva. Tutt’intorno fece allestire un enorme giardino e una serie di edifici che, insieme alla villa, presero il nome di “Castro Luculliano”. 

L’esistenza del castro luculliano si interrompe definitivamente circa un millennio dopo, nel 902. Napoli era nel pieno del ducato autonomo (de facto), quando il duca Gregorio IV, previo consiglio del vescovo Stefano III e degli Ottimati, fece radere al suolo la borgata che si estendeva dal colle di Pizzofalcone al mare di Santa Lucia. Una scelta difensiva, inserita in un quadro più ampio: quello del conflitto con i Saraceni. Stando fuori dalle antiche mura della città, il castro luculliano poteva infatti essere facile preda di Adrahim-ibn-Ahmed, il quale, dopo aver occupato la parte ancora bizantina della Sicilia, minacciava l’intera penisola alla guida di forze imponentissime. Insomma, l’obiettivo era quello di estirpare alla radice un possibile fronte bellico, a ridosso della città, evacuandone gli abitanti. 

Quando Adrahim-ibn-Ahmed venne fermato e arrestato in Calabria, il “sacrificio” del castro luculliano era già stato consumato e il corpo di San Severino, ivi custodito, era stato trasportato in città. Fu in quel momento che i resti del santo vennero uniti alle reliquie rinvenute tra i ruderi del castello di Miseno (andato distrutto nell’855) di San Sossio, compagno di San Gennaro, in una chiesa che divenne da subito veneratissima e che ancora oggi è intitolata ai due santi.  La chiesa monumentale dei Santi Severino e Sossio è ancora oggi sita in via Bartolomeo Capasso, presso il decumano inferiore. Fino al trasferimento nel vicino paese di Frattamaggiore nel 1808, per quasi un millennio, la chiesa ha custodito le reliquie dei due santi. 

Crediti immagine: Wikipedia

A proposito di Salvatore Toscano

Salvatore Toscano nasce ad Aversa nel 2001. Diplomatosi al Liceo Scientifico e delle Scienze Umane “S. Cantone” intraprende gli studi presso la facoltà di scienze politiche, coltivando sempre la sua passione per la scrittura. All’amore per quest’ultima affianca quello per l’arte e la storia.

Vedi tutti gli articoli di Salvatore Toscano

Commenta