I libri di testo in Giappone: analisi di un fenomeno politico

I libri di testo in Giappone: analisi di un fenomeno politico

Nel corso delle varie epoche, l’approvazione dei libri di testo in Giappone, e la loro censura, hanno condizionato e sono state a loro volta condizionate dalle scelte politiche della classe dirigente.

In questo articolo vedremo perché, e come i vari governi hanno saputo affrontare questa annosa questione.

I libri di testo in Giappone: analisi di un fenomeno politico

L’Occupazione e la censura dello SCAP: i primi approcci

Durante l’Occupazione americana del 1945, l’obiettivo primario era incoraggiare la smilitarizzazione e la democratizzazione dello Stato giapponese. In quest’ottica, il governo statunitense decide per una riforma dell’istruzione, considerata da molti come «un’organizzazione controllata dallo stato, in cui il popolo impara ad accettare ciecamente il governo autoritario», e decide di partire proprio dai testi scolastici.

Il primo passo avviene il 26 agosto 1945, quando il governo giapponese (autonomamente, ma mostrando di essere d’accordo con gli occupanti alleati) decide di annerire tutti i riferimenti al militarismo nei libri di testo: questi ultimi verranno detti suminuri kyōkasho 墨塗り教科書, libri di scuola inchiostrati, perché inizialmente la cancellatura avveniva con una pennellata d’inchiostro (sumi), a cura degli stessi studenti.

Nel 1948, lo SCAP (Supreme Commander of the Allied Powers, Comandante Supremo delle Potenze Alleate) istituisce un sistema per l’approvazione dei testi, il Textbook Screening Council (Consiglio di Esaminazione dei libri di testo), formato dai Textbook Screening Examiners.

Ad essere bersaglio della censura governativa, in questa prima fase, sono essenzialmente due questioni:

  • Da una parte le idee ultranazionaliste, tra cui figuravano ad esempio la superiorità della razza nipponica, i progetti di espansione in Asia, la sacralità della figura imperiale;
  • Dall’altra, i valori connessi al militarismo, ad esempio glorificare la guerra e considerarla come un metodo efficace per risolvere le dispute; esaltare gli eroi di guerra per il loro valore militare; considerare la lealtà all’Imperatore come il più grande valore patriottico.

Il sistema del 1955 e i libri di testo in Giappone

Dopo la fine dell’Occupazione, il controllo del sistema di approvazione dei testi scolastici rimane in mano al Monbushō (文部省, Ministero della Pubblica Istruzione; sostituito nel 2001 dal MEXT), che i successivi governi conservatori investono di responsabilità più alte. Ad esempio, nel 1953, la Legge sull’Istruzione Scolastica di maggio decide che è il Monbushō a certificare i libri di testo, e non le divisioni locali delle varie prefetture.

Nel frattempo, sul piano politico si vanno formando vari partiti conservatori, tra cui spicca il Jiyūtō 自由党, il partito liberale, e alcuni più progressisti, primo tra i quali il partito socialista Shakaitō 社会党. Quest’ultimo, scisso in due dopo alcune questioni riguardanti il Trattato di San Francisco, supporterà nel 1954 la causa del partito democratico, Minshūtō 民主党, che salirà al governo con Hatoyama Ichirō.

Sotto il governo Hatoyama, la questione dei libri di testo in Giappone diviene oggetto di campagna elettorale, con il futuro primo ministro Nakasone Yasuhiro, ai tempi giovane militante del Minshūtō, che chiede un sistema di pubblicazione e approvazione dei testi controllato strettamente dallo Stato. Così, quando l’altro oggetto di campagna elettorale, la revisione dell’articolo 9 della costituzione, viene bloccato, la questione dei libri di testo diviene il principale terreno di battaglia per la classe politica.

Nel giugno del 1955 Ishii Kazutomo, un ex membro del Nikkyōso (日教組, il più antico sindacato che riunisce gli insegnanti di tutto il Giappone), dichiara davanti alla Dieta che delle case editrici di libri scolastici avevano corrotto delle scuole per spingere all’adozione dei propri libri di testo.

Tuttavia, il suo obiettivo principale era denunciare il filocomunismo nei diversi testi approvati nel periodo dell’Occupazione, nei quali, come già riportato, erano stati cancellati tutti i riferimenti al nazionalismo e al militarismo tanto cari ai conservatori.

Dietro questo attacco, di fronte a cui molti politici conservatori rimangono in silenzio, c’è la creazione del nuovo sistema post-occupazione che verrà chiamato sistema del 1955. Infatti, grazie a ciò il Minshūtō e il Jiyūtō si alleano su un terreno comune, quello della lotta all’ideologia di sinistra, fino a fondersi nel Partito Liberaldemocratico, Jimintō自民党, che governerà il Giappone quasi ininterrottamente fino ai giorni nostri, sempre con lo Shakaitō all’opposizione: per questo motivo il sistema verrà anche chiamato “sistema a un partito e mezzo”.

La questione dei libri di storia

Negli anni a venire il Monbushō amplia il numero dei membri del consiglio d’approvazione dei libri di testo inserendo molti conservatori, che vanno ad occupare le posizioni relative alle discipline umanistiche, e in particolare la storia patria; l’insegnamento della storia viene criticato in quanto «troppo scientifico», «mancante dello spirito d’indipendenza del Giappone», i libri di testo «sembrano essere scritti per altre nazioni piuttosto che per il Giappone»: secondo il Monbushō, infatti, i libri di storia per studenti giapponesi dovrebbero supportare il proprio stato e i suoi leader, a prescindere dalle conseguenze.

Gli eventi del Ventesimo secolo, in particolare, ricevono più di una critica.

Ad esempio, la guerra del Pacifico era sempre stata identificata con la dicitura 太平洋戦争 Taiheiyō Sensō (appunto, Guerra dell’Oceano Pacifico), ma viene rinominata dal Monbushō 大東亜戦争 Daitōa Sensō , Grande Guerra dell’Asia Orientale, così com’era conosciuta in epoca imperiale. In più, il Monbushō chiede che, nel capitolo ad essa dedicato, non si evidenzino le atrocità compiute dall’esercito giapponese, e che si eviti di «parlare male del Giappone», rappresentando i fatti storici in maniera romanzata (ロマンチック, romantikku).

Per quanto riguarda le iniziative coloniali del Giappone in tempi di guerra, inoltre, il Monbushō prevede che la questione si tratti in una prospettiva mondiale, ovverosia giustificando il comportamento del Giappone in quanto seguiva l’esempio delle altre potenze coloniali (tra cui alcuni Alleati).

La censura e riscrittura della storia ad opera del Monbushō continua indisturbata fino agli anni Settanta, decennio in cui, nonostante la crisi del petrolio e i cosiddetti Nixon Shocks, il Giappone continua a crescere diventando una vera e propria superpotenza economica.

In quegli anni, il Jimintō accusa i libri di testo, stavolta di lingua e letteratura, di essere pesantemente polarizzati verso il comunismo, prendendo in particolare la fiaba Okina kabu 大きな蕪 (La rapa gigante), in cui una famiglia unisce le forze per tirar fuori dal terreno una gigantesca rapa, come metafora dei proletari che insieme rovesciano la classe dirigente.

È negli anni Ottanta, però, che avviene la censura più forte sui libri di testo in Giappone, e che arriva una risposta internazionale.

Nello screening del 1980-1981 il Monbushō ordina allo storico Ienaga Saburō, già autore di un testo scolastico di storia sotto l’egida dello SCAP, di censurare e cambiare molti dei riferimenti alle atrocità commesse dal Giappone in tempi di guerra: ad esempio, riguardo al massacro di Nanchino, prevede che si evidenzino le condizioni di caos generale che avrebbero portato alla morte molti cinesi, nascondendo in questo modo che la responsabilità ricadeva invece sull’esercito giapponese

Nel 1981-1982, invece, tocca alla Battaglia di Okinawa, in cui molti nativi furono costretti al suicidio di massa (shūdan jiketsu 集団自決) dall’esercito giapponese, essere censurata: ogni descrizione del suicidio deve essere cancellata, non si deve fare riferimento alla mano giapponese dietro l’evento, e anche le fonti vengono criticate. Secondo il Monbushō, infatti, la Okinawan Prefectural History sarebbe troppo poco scientifica, in quanto trascrizione di testimonianze personali.

Quando nel giugno del 1982 vengono resi pubblici i tagli e le modifiche sui più importanti giornali giapponesi, dai Paesi vicini arriva un’ondata di proteste, a cominciare dalla Corea del Sud e dalla Repubblica Popolare Cinese a luglio, fino alla stessa prefettura di Okinawa, che a settembre invia una lettera al Monbushō per ripristinare i passaggi originali che testimoniavano la responsabilità dell’esercito giapponese.

Il Monbushō, conscio di aver sottovalutato la posizione diplomatica del Giappone in una fase in cui la sua economia stava andando ad intrecciarsi sempre di più con i paesi vicini, cerca di limitare il danno diplomatico, tramite il Segretario Capo di Gabinetto Miyazawa Kiichi, che nell’agosto del 1982 dichiara che il Giappone prenderà in considerazione le critiche dai paesi vicini e opererà delle modifiche per salvaguardare l’amicizia e la collaborazione tra gli stati.

In ottobre, quindi, si arriva ad una clausola secondo cui la revisione dei libri di testo in Giappone doveva essere operata cercando di non danneggiare l’immagine dei paesi vicini. Nella fattispecie, viene disposto che il termine shinryaku 侵略, invasione, non sia più sostituito da shinshutsu 進出, avanzata, per indicare il colonialismo giapponese, e che la responsabilità del massacro di Nanchino non sia più affidata al caos generalizzato.

Questa distensione del Monbushō, però, irrita i neo-nazionalisti, che decidono di creare il proprio libro di storia, lo Shinpen Nihonshi 新編日本史 (Nuova Edizione della Storia del Giappone), approvato dal Monbushō nel 1987 nonostante le preoccupazioni generalizzate verso i suoi contenuti.

Le comfort women: una questione ancora irrisolta

Negli anni Novanta fuoriesce per la prima volta nella Dieta la controversia sulle comfort women, donne native dei paesi occupati (soprattutto coreane) impiegate dall’esercito giapponese per dare “conforto” ai militari di stanza in quelle zone e soddisfarne le voglie.

Il primo ministro Kaifu Toshiki nega il diretto collegamento con l’esercito, ma quando iniziano a venir fuori le testimonianze da parte delle donne sopravvissute, cinesi coreane e filippine, e documenti che attestano la diretta responsabilità dello stato giapponese, il governo non può più nascondersi.

Nel 1993 il governo ammette le proprie responsabilità dirette, dopo aver ascoltato la testimonianza di quindici ex-comfort women, ed esprime determinazione affinché non si insabbi più la questione: negli anni immediatamente successivi questa viene menzionata sui libri di storia, anche se brevemente. Il primo ministro Hosokawa Morihiro, qualche giorno dopo, esprime il proprio dissenso in merito alla “colonizzazione” della Corea da parte del Giappone e alla Guerra del Pacifico.

Nel 1994, sotto il governo socialista di Murayama Tomiichi, la Dieta (con il beneplacito del Jimintō) decide di scusarsi pubblicamente con i paesi vicini per i crimini commessi durante la guerra.

Questo dà il via alle proteste dei neo-nazionalisti, che iniziano a negare l’evidenza dei fatti e a cercare di bloccare questa risoluzione. Dopo le dimissioni di Murayama, nel 1996, i nazionalisti attaccano proprio l’inserimento dell’argomento comfort women nei testi di storia, definendolo unilaterale e storicamente inaccurato, finendo per farlo rimuovere.

Negli anni Duemila le proteste sono continuate, tant’è vero che nel 2000 i neo-nazionalisti hanno ottenuto la rimozione di gran parte dei riferimenti alle atrocità di guerra dei giapponesi per le edizioni scolastiche del 2002, che sono rimaste pressoché inalterate ai giorni nostri, senza nessun passo sostanziale da parte delle successive amministrazioni.

Durante i vari periodi qui analizzati, le controversie nate a proposito di ciò che poteva o non poteva comparire sui libri di testo in Giappone, e la manipolazione di eventi storici a fini politici, sono state al centro della scena politica, diventando terreno di battaglia tra le varie fazioni.

I libri di testo, infatti, da armi di istruzione di massa, concorrono a cementare ideologie e correnti di pensiero, e sono quindi molto importanti per perorare la causa dei partiti; come abbiamo visto, possono inoltre essere causa scatenante di crisi diplomatiche e mettere a repentaglio l’equilibrio interno di un intero continente.

Fonte per l’immagine in evidenza: Pexels

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