La cultura dello stupro: il ruolo della lingua

La cultura dello stupro: il ruolo della lingua

Negli ultimi anni si sente spesso parlare di cultura dello stupro, espressione che nasce e si diffonde a partire dagli studi di genere e dalla letteratura femminista e con cui si indica una cultura nella quale lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono comuni, normalizzate e anche minimizzate.

Negli ultimi mesi, il tema della cultura dello stupro è stato centrale a causa delle notizie dello stupro di Palermo, una ragazza di 19 anni picchiata e violentata da sette ragazzi in un cantiere abbandonato, lo stupro di Caivano, due cuginette di 10 e 12 anni stuprate da un gruppo di ragazzini e si ipotizza che le violenze andassero avanti da mesi, e lo stupro di Piazza Garibaldi, a Napoli, una donna sequestrata e stuprata da quattro uomini. Queste notizie si inseriscono all’interno di quella che è la realtà italiana: la media di un femminicidio ogni tre giorni nel 2023 e la media di 11 tra stupri e abusi denunciati in un giorno, precisamente una denuncia per violenza sessuale ogni 131-132 minuti nel 2021. E questi sono solo i dati ricavati dagli abusi denunciati, senza tener conto di quelli non rivelati.

Il ruolo della lingua nella cultura dello stupro

Come cambiare questa realtà? Sfortunatamente non abbiamo il potere di chi ci governa e, inoltre, parliamo di un problema culturale, si tratta di idee e atteggiamenti che vengono trasmessi fin dall’infanzia e sono ormai ben radicati. Però c’è qualcosa che possiamo fare nel nostro piccolo che va oltre condividere le notizie, non restare in silenzio e prendere posizione schierandosi con la vittima, che resta comunque importante, ed è qualcosa che fa parte della nostra quotidianità: dobbiamo imparare a usare la lingua.

La lingua svolge un ruolo fondamentale nell’istituire, tramandare e mantenere viva la cultura, nel caso specifico la cultura dello stupro. La lingua definisce e limita il mondo in cui viviamo attraverso l’utilizzo delle categorie e, secondo gli studi di ecofemminsimo, l’uomo ha creato la categoria del genere, presentata come oggettiva e naturale, che non distingue semplicemente uomo e donna ma gli attribuisce anche una posizione definitiva nella società: chi domina e chi è subordinato, chi ha potere e chi ne viene privato.

Questa distinzione si manifesta anche attraverso la struttura della nostra lingua. Esempio sono le metafore spesso utilizzate per denigrare la donna e ridurla a oggetto sessuale del proprio desiderio, una delle basi della cultura dello stupro: la donna spesso viene identificata come un animale selvaggio, una preda da catturare, o ancora viene identificata come un dessert e ci sono studi (Baider e Gesuato, 2003) che provano che questo non accade per gli uomini e che, qualora si identifichi l’uomo come un “pollastro” o un “cane”, non si vuole ridurlo a oggetto sessuale, e anche quando si sessualizza l’uomo attraverso metafore usate per descriverlo come animale, l’espressione non ha mai una connotazione negativa, l’uomo ha sempre il potere, ad esempio quando lo si definisce un “toro”.

Le metafore sono solo uno dei tanti esempi dell’utilizzo della lingua per mantenere viva la cultura dello stupro. Spesso si fanno “battute” più esplicite sulla possibilità di stuprare una donna che si conosce o che si vede per strada, lo stesso catcalling è una forma di violenza, ma anche semplicemente ridurre una donna a un oggetto sessuale per come è vestita o per la sua vita sentimentale usando slur misogini, sono tutti modi attraverso cui, usando la propria lingua, si mantiene viva la cultura dello stupro e queste idee sembrano sempre più la normalità. Inoltre, anche restare in silenzio davanti a determinate affermazioni rende complici di questa propagazione.

La donna nella nostra società è considerata un oggetto a disposizione dell’uomo: che si tratti di sesso, di portare in grembo i suoi figli o di pulire la sua casa. Si tratta di idee con radici profonde nella nostra cultura e nella testa di molti uomini che per questo sono fermamente convinti che l’atto sessuale gli sia dovuto, che il corpo della donna gli appartenga e che quindi non sia necessario il consenso, in poche parole la cultura dello stupro, così come per questo non riescono ad accettare che la donna da loro “amata” interrompa la relazione e di conseguenza l’ammazzano.

Liberarci da questo vortice di violenza non è semplice, come abbiamo ripetuto più volte si tratta di un fenomeno che ha radici culturali e c’è bisogno della convergenza tra i poteri dell’autorità istituzionali, ad esempio con l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole, e quello di ognuno di noi che abbiamo nella quotidianità quando parliamo e agiamo ma anche tramite social. La lotta è dura e ancora lunga ma non si può restare fermi ad assistere in silenzio.

Fonte immagine in evidenza: Pixabay

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