Il linguaggio metaforico secondo George Lakoff e Mark Johnson

Metafora e vita quotidiana

Metafora e vita quotidiana. Il linguaggio metaforico ha un ruolo centrale nel processo di categorizzazione dei concetti.

La metafora può essere definita come uno dei tropi che meglio ci consentono di comunicare concetti o esperienze difficili da descrivere che si vogliono arricchire di dettagli attraverso l’accostamento a peculiarità appartenenti ad altri campi semantici. Il linguaggio metaforico prevede un certo grado di producibilità: alcune espressioni sono semplicemente cristallizzate nel lessico italiano mentre è altrettanto plausibile la formazione ex novo di costrutti metaforici sulla base di processi cognitivi interiorizzati: l’accostamento di domini concettuali di differente natura. Tradizionalmente, si accosta un’entità astratta ad una concreta, il che facilita la comprensione delle prime grazie alle caratteristiche delle seconde, più familiari ed elementari perché ne facciamo esperienza sensibilmente.

Due studiosi, George Lakoff e Mark Johnson, rispettivamente un linguista e un filosofo, hanno fatto del cognitivismo linguistico e il linguaggio metaforico il loro fulcro di ricerca e hanno sviluppato una teoria basata sul processo di embodiment. Tramite questa teoria filosofica, si mette al centro l’importanza del corpo nei meccanismi linguistici, come? Traslando ciò che di relativo al rapporto del corpo con il mondo esterno c’è al meccanismo linguistico e soprattutto metaforico. Un esempio è riscontrabile particolarmente in alcuni costrutti metaforici tra cui ‘albergare speranze’, in cui il corpo è immaginato come un contenitore, o ‘assaporare la vittoria’. Il caso della metafora ‘attraversare una crisi’ è emblematico nella misura in cui il verbo ‘attraversare’ prevede un certo grado di concretezza mentre la ‘crisi’ è un concetto astratto che si protrae per un tempo.

Spesso, si accostano le peculiarità dei verbi di moto a concetti semantici legati al tempo o alla vita: ‘”la vita è un viaggio'” La tendenza innata dell’uomo ad interpretare categorie astratte come fossero oggetti concreti, percepibili attraverso i sensi o processi materiali, è il focus del meccanismo cognitivo della metafora. A tal proposito, nel lavoro più emblematico prodotto dalla ricerca dei due studiosi sopracitati “Metafora e vita quotidiana”, pubblicato nel 1980, si rende nota la distinzione tra tre tipi di metafore: le metafore ontologiche, strutturali (o concettuali) e di orientamento. Le metafore strutturali ci consentono di descrivere un concetto astratto nei dettagli mediante la designazione di concetti più semplici, mettendone in risalto alcuni aspetti e scartandone altri: “la vita è un viaggio”. Le metafore di orientamento, tra le più produttive, ci consentono di organizzare i concetti più disparati attraverso riferimenti oggettivi prettamente spaziali: “entrare in contatto”. Il meccanismo basico delle metafore ontologiche si traduce in una correlazione tra attività, eventi o idee ed esperienze che compiamo con il nostro corpo. A loro volta si classificano sulla base di due specifici tropi: personificazione e metonimia. La prima consiste nel traslare il tratto ‘+animato’ ad un sostantivo che comporta quello ‘-animato’: ‘ammazzare il tempo’. La seconda prevede l’aggancio di un dominio concettuale ad un tratto specifico del target, come nell’esempio ‘scoppiare una guerra’.

Nella lingua italiana è molto semplice individuare, tra gli esempi proposti da Lakoff e Johnson in Metafora e vita quotidiana, il più produttivo e quello che meglio si incastra nel nostro alfabeto culturale: “il tempo è denaro”.

La dimensione concettuale del tempo sottintende molti costrutti linguistici frequenti, di cui noi ci accorgiamo quasi affatto. A questo proposito, risultano maggiormente evidenziati i domini culturali che sono alla base di un linguaggio metaforico, siamo portati ad accostare l’idea del tempo ad un oggetto che traina con sé significati concreti e ideologici: il denaro. La metafora “il tempo è denaro’” è la linfa di una vasta gamma di enunciati come ‘risparmiare tante ore’, ‘perdere tempo’, “accumulare tempo’” ‘guadagnare tempo’, ‘costa molto tempo’. La nostra relazione fisica e mentale con il denaro ci sembra appropriata per descrivere uno dei concetti più caotici con cui l’uomo si trova a che fare. La facoltà di toccare, accumulare o spendere il denaro, ci eleva rispetto ad esso; attraverso la lingua soddisfiamo la nostra sete di controllo verso ciò che sfugge alla nostra comprensione: il tempo. Come accennato, il nostro rapporto con il tempo è sfaccettato, una delle peculiarità dello stesso è certamente il suo valore di scambio: secondo Lakoff e Johnson, abbiamo la sensazione di possederlo e la facoltà di prestarlo o regalarlo. Inoltre, nell’ottica in cui il denaro è qualcosa che non va sprecato come fosse una merce, risulta spontaneo utilizzare espressioni come ‘la ringrazio per il suo tempo’.

Nello stesso modo in cui noi agiamo come se il denaro fosse una merce pregiata e una risorsa limitata, così concepiamo il tempo allo stesso modo. In tal modo, comprendiamo e viviamo il tempo come qualcosa che può essere speso, perso, pianificato, investito saggiamente o male, risparmiato o sprecato. Quantità o qualità dunque? Nel nostro assetto culturale, il punto cardine è la quantità. Monetizzare e quantificare sono gli assiomi principali attraverso i quali basiamo anche il nostro scheletro societario. Il tratto distintivo è, dunque,  la coscienza della fretta, il desiderio di sfuggire al tempo e contemporaneamente di controllarlo. D’altronde, noi vogliamo misurare il tempo con precisione sempre maggiore, il che implica un’ovvia oggettivazione dello stesso attraverso il linguaggio metaforico.

Fonte Immagine dell’articolo su Metafora e vita quotidiana: Pexels.com

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