Francesco Guicciardini: vita e opere

Francesco Guicciardini: vita e opere

Francesco Guicciardini: la vita

Francesco Guicciardini nasce nel 1483 a Firenze. Studia giurisprudenza laureandosi in diritto civile e successivamente intraprendendo la carriera da avvocato. Nel 1506 sposa con Maria Salviati, matrimonio in seguito al quale comincia la carriera politica di Guicciardini: viene nominato ambasciatore presso il re di Spagna Ferdinando il Cattolico. Nel 1513, dopo il rientro dei Medici, torna a Firenze dove viene eletto governatore di Modena quando al soglio pontificio sale Leone X. Nel 1529 lascia di nuovo Firenze per prestare servizio a Papa Clemente VII, il quale gli offre un incarico a Bologna. Con il ritorno dei medici a Firenze, fa rientro nella sua città natale dove si ritira nella villa di Arcetri, dedicando i suoi ultimi anni di vita all’attività letteraria. Muore nel 1540.

Francesco Guicciardini: le opere minori

Tra le opere minori di Francesco Guicciardini va senza dubbio citato Il Dialogo del reggimento di Firenze, opera divisa in due libri ultimati nel 1526. L’autore immagina un dialogo tra il padre dello scrittore, Piero Guicciardini, Paolantonio Soderini e Pier Capponi, ferventi repubblicani, a cui si contrappone Bernardo del Nero, appartenente al partito mediceo. Quest’ultimo cerca di dimostrare ai tre amici quanto il loro credo repubblicano sia illusorio, argomentando che la democrazia presenta difetti più gravi e numerosi della monarchia.

Non vanno inoltre dimenticate Le Considerazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli, scritte probabilmente nel 1528. Qui Guicciardini dimostra il suo dissenso nei confronti dei fondamenti stessi della filosofia della storia, su cui si basa il classicismo di Machiavelli. Secondo Guicciardini, la storia romana non possiede alcun valore esemplare, a causa del fatto che non ci sono, nella storia, leggi e modelli assoluti, che permettano di comprendere e di valutare la realtà.

I Ricordi: ideologia e struttura

I Ricordi, la cui stesura definitiva risale al 1530, seguono vari periodi della vita di Francesco Guicciardini sia come diplomatico che come uomo politico. Da ciò deriva il carattere dell’opera: i ricordi sono esempi che possono offrire un utile insegnamento, ma che non hanno un valore universale, dal momento che la realtà è imprevedibile e contingente. Analogamente, anche la conoscenza non può che essere limitata e relativa. Per questo motivo, i ricordi descritti nell’opera sono indipendenti l’uno dall’altro e non si uniscono a formare un quadro unitario. Nascendo dall’esperienza personale dell’autore, l’opera esprime in maniera completa e fedele i segni di un dissidio interiore, sia teorica che esistenziale, il quale oscilla tra la necessità di agire e i limiti di un pensiero che non è capace di giustificarne le ragioni. La frammentazione del reale comporta la consapevolezza dei limiti della conoscenza, cosa a cui corrisponde la struttura frammentaria dell’opera: i Ricordi rinunciano alla compiutezza sistematica e totalizzante del discorso. All’interno dell’opera pervade un tono spesso amaro e disilluso che, tuttavia, non impedisce all’autore di confrontarsi con la storia e la politica, le quali poggiano su una precarietà degli eventi e il carattere relativo della verità, rendendo vana ogni speranza di ricompensa o consolazione. Da questa idea sulle scarse possibilità della ragione, deriva l’impianto fortemente logico dei ricordi, che si basano su precise definizioni e rapporti deduttivi, reso necessario anche dall’utilizzo di uno stile diretto e privo di dispersioni. Nei Ricordi si può osservare come Francesco Guicciardini rifiuti in maniera categorica qualunque visione utopica e consolatrice della realtà. Tuttavia, Guicciardini non obietta la nobiltà di questi ideali, bensì li considera non ragionevoli a causa della loro inattuabilità nella pratica. Per questi motivi, l’autore giudica con tono freddo e distaccato la religione e la fede e, in generale, troviamo una forma di indifferenza o scetticismo nei confronti del trascendente. Proprio la mancanza di una visione provvidenziale della storia porta Guicciardini a considerare la realtà come formata da infiniti casi e accidenti, di fronte ai quali gli uomini non hanno potere né gli strumenti adatti per interpretare e questo tipo di realtà. Per poterla comprendere è necessaria la discrezione, ossia la capacità di distinguere e decidere caso per caso, sfruttando la saggezza che deriva dall’esperienza personale.

La Storia d’Italia

La Storia d’Italia, considerata il capolavoro di Francesco Guicciardini, si articola in venti libri ed è stata scritta fra il 1537 e il 1540. L’opera abbraccia gli avvenimenti compresi tra la morte di Lorenzo il Magnifico e la morte di Papa Clemente VIII. L’impostazione è annalistica, sull’esempio del celeberrimo storico romano Tacito. La narrazione è imbevuta principalmente di analisi politiche e psicologiche, che scaturisce da un esame scrupoloso delle testimonianze e delle fonti. Su questa base lo scrittore segue in maniera analitica il susseguirsi delle vicende e cerca di individuarne le cause, senza collegare la loro spiegazione a schemi precostituiti. Proprio in questo vi è la sostanziale novità e modernità dell’operazione portata avanti dall’autore, non solo rispetto alla storiografia medievale, ma anche rispetto al pensiero di Machiavelli.

 

Fonte immagine in evidenza: wikimedia.org

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