Cosa si intende con gnoseologia?
Col termine gnoseologia, che deriva dal greco gnòsis “conoscenza e lògos “discorso”, ossia teoria della conoscenza, si intende la branca della filosofia che studia la natura della conoscenza. In particolare, la gnoseologia, così come si è consolidata in età moderna, grazie anche alla preziosa speculazione kantiana, analizza i fondamenti, i limiti e la validità della conoscenza umana, intesa come relazione tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto.
E tutto ruota intorno a tale concezione dialettica. Ogni teoria su ciò che sia la conoscenza, elaborata dall’antichità all’età contemporanea, nasce per confutare o avallare l’importanza dell’esperienza sensoriale o di quella scientifica, ponendo ora al centro della speculazione il soggetto, ora l’oggetto. Con Kant, e poi con Hegel, si giungerà alla sintesi di tale diatriba, pervenendo a considerazioni maggiormente complete, sagge e definite.
Ma analizziamo quest’excursus storico, che delinea l’approccio della filosofia alla teoria della conoscenza.
Gnoseologia. Filosofia antica e medievale
Sebbene la gnoseologia abbia trovato una più precisa collocazione e definizione a partire dal XVII°, con il delinearsi della filosofia moderna, la questione della conoscenza, di cosa essa sia e di come la si possa intendere, affonda le sue radici fin dalle origini della filosofia.
Già nel pensiero classico sussiste una concezione dialettica circa il concetto di conoscenza: l’opinione contrapposta alla scienza. Per i filosofi greci l’opinione, fondandosi sull’esperienza sensibile, risulta ingannevole, in contrapposizione al sapere scientifico, che, fondandosi invece sulla ragione, risulta certo e incorruttibile.
Da Parmenide ad Aristotele è tutto un susseguirsi ora della svalutazione della conoscenza sensoriale, ora della sua affermazione.
Parmenide asserisce l’importanza di un sapere dedotto esclusivamente dalla ragione, risultando però non oggettivabile. E qui risiede il limite della sua filosofia: la gnoseologia sottomessa all’ontologia, cioè alla dimensione statica dell’essere.
Con Socrate si perviene ad una concezione un po’ più dinamica del pensiero, spostando il baricentro dalla ragione all’anima: la conoscenza non sarebbe insegnabile, in quanto il maestro può solo aiutare l’allievo a partorirla da sé, secondo l’arte della maieutica.
Anche Platone focalizza l’attenzione sul concetto di anima, ma rivalutando in parte l’esperienza sensibile: i sensi infatti servirebbero a risvegliare nell’essere il ricordo delle idee, quelle forme universali con cui è plasmato il mondo e che ci consentono di conoscerlo. Per Platone dunque conoscere significa “ricordare”, attraverso un processo di reminiscenza di un sapere innato, già giacente nell’anima. Dunque, sì sapere innato, ma stimolato da esperienza sensoriale. Tuttavia ancora una volta è evidente il limite della difficile oggettivazione della conoscenza, in quanto le idee sono accessibili solo per intuizione.
La gnoseologia secondo Aristotele
Sarà Aristotele a formalizzare in maniera più precisa il processo conoscitivo, rivalutando ulteriormente l’esperienza sensibile, e divenendo un punto di riferimento per le filosofie successive, fino all’Ottocento. Secondo Aristotele l’intelletto umano non si limita a recepire passivamente le impressioni sensoriali, ma svolge un ruolo attivo. Distingue così la sensazione, il grado più basso del conoscere che ha per oggetto entità particolari, e l’intuizione intellettuale, al grado più alto capace di “astrarre” l’universale dalla realtà empirica. E per Aristotele è la scienza ad avere per oggetto gli “universali”, che sono nell’anima stessa. Per Aristotele comunque il limite della conoscenza così intesa consiste nel non poter prescindere dall’esperienza, anche se la gnoseologia resta ancora sottomessa alla sfera ontologica e intuitiva.
Con la filosofia medievale restano sostanzialmente invariati i capisaldi platonici e soprattutto quelli aristotelici, questi ultimi valorizzati da Tommaso D’Aquino, che li approfondisce affermando che la conoscenza deve fondarsi sulla corrispondenza tra intelletto e realtà. La verità viene così raggiunta quando le strutture intellettive del soggetto si adeguano a quelle dell’oggetto, approdando alla posizione nota come realismo moderato.
Gnoseologia. Filosofia moderna e rivoluzione kantiana
Platonismo e aristotelismo, che hanno delineato i fondamenti e i limiti della gnoseologia (il primo individuandoli nel sapere innato, il secondo nel sapere empirico), costituiranno nella filosofia moderna due filoni di pensiero sempre più diversi e inconciliabili.
Al primo si ricollega Cartesio, che cerca di trasformare l’innatismo platonico in un sistema gnoseologico autonomo, che ponga in grado la ragione di dedurre da sé il vero a priori. Per Cartesio la gnoseologia non è più il “mezzo”, ma il “fine” stesso della filosofia, a cui l’Essere risulta sottomesso. Per il filosofo francese ha valore solo ciò che è oggettivabile e razionalizzabile in forma evidente. Nasce così la corrente del razionalismo.
All’aristotelismo si collega invece la corrente filosofica inglese, secondo cui la conoscenza deriva unicamente dall’esperienza sensibile. Dai precursori Francesco Bacone e Thomas Hobbes, fino ai principali esponenti quali John Locke, George Berkeley e David Hume, vengono concordati i princìpi a cui ogni forma di conoscenza umana deve essere ricondotta: la verificabilità, secondo cui ha senso conoscere solo ciò che risulta verificabile sperimentalmente, e il meccanicismo, in base a cui ogni fenomeno avviene secondo leggi meccaniche di causa-effetto. Quest’ultimo punto, fatto proprio da Hobbes, si connette alla convinzione degli empiristi per cui la mente umana è una “tabula rasa” alla nascita, ossia priva di idee innate. Solo dopo, le impressioni sensoriali agirebbero sulla mente, plasmandola e inducendo in essa concetti.
Leibniz criticherà l’empirismo così espresso, riaffermando l’innatismo delle idee, pur discostandosi però dalla teoria cartesiana delle idee di cui si ha conoscenza chiara e oggettiva, promuovendo quella secondo cui esistono anche pensieri preclusi alla coscienza, quelli cioè che agiscono a livello inconscio.
La gnoseologia kantiana. La conoscenza secondo Kant
Ma è con Immanuel Kant che la gnoseologia sarà vero oggetto di rivoluzione del pensiero filosofico moderno. Per Kant la conoscenza è un processo essenzialmente critico, in cui la mente umana gioca un ruolo fortemente attivo. In questo senso, Kant critica in parte l’empirismo, ma solo per come è stato fino ad allora inteso: per il filosofo tedesco la conoscenza da un lato è a priori, in quanto nasce dall’attività delle categorie mentali, dall’altro però tali categorie si attivano solo ricevendo dati empirici da trattare, ottenuti passivamente dai sensi. In tal modo, Kant riesce a conciliare razionalismo ed empirismo. Dunque, secondo tale rivoluzionaria concezione, la conoscenza non è mera raccolta di nozioni, ma capacità di connettere in maniera critica e consapevole le informazioni provenienti dall’esterno.
Kant supera decisamente la concezione humiana e in generale della filosofia moderna, proprio passando dalla riqualificazione del “Soggetto”, restituendogli dignità e rendendolo protagonista assoluto del processo conoscitivo. Ciò è reso possibile dalle categorie prima citate, ossia le forme a priori proprie dell’intelletto, con le quali questo lavora sull’ancora acerbo materiale fenomenico, per giungere ad una corretta elaborazione ed interpretazione dei suoi contenuti. In sostanza Kant pone in evidenza i due fattori che determinano il processo della conoscenza: fattore oggettivo e fattore soggettivo. Ciò significa che affinché vi sia conoscenza è necessario che qualcosa si dia ai sensi (ossia il materiale fenomenico dell’esperienza) e che intervengano le categorie dell’intelletto a collegare ed ordinare i fenomeni, formando concetti empirici, che sono sempre a posteriori, in quanto derivanti dall’esperienza. Tuttavia Kant sottolinea con piena consapevolezza che si tratta in ogni caso di una conoscenza del fenomeno, ossia della realtà così come appare ai sensi, mai della realtà così com’è (il Noumeno), che al contrario risulta inconoscibile. E qui si colloca l’altra importante distinzione dialettica, alla base della gnoseologia di Kant: quella tra fenomeno (dal greco phainòmenon, “ciò che appare”) e noumeno (la cosa in sé).
Da tale distinzione deriva la concezione secondo cui appunto solo della realtà fenomenica, quella cioè che si può conoscere, si può fare esperienza, visto che non è possibile cogliere altro, a livello intellettuale, se non il mondo esterno così come appare. Nulla al di là della realtà fenomenica può essere oggetto di conoscenza umana, nulla di ciò che si situa oltre la sfera esperienziale. Tutto quanto trascende il fenomeno è inconoscibile, poiché costituisce un noumeno, in nessun modo oggetto di indagine speculativa.
Il compito della filosofia kantiana dunque, oltre a ribaltare essenzialmente l’adeguamento tra Soggetto e oggetto, è quello di rivelare non la realtà così com’è (il noumeno), ma individuare il confine dei limiti e delle potenzialità della conoscenza umana, ponendo appunto in essere la dialettica tra fenomeno e noumeno. In poche parole Kant non si oppone alla metafisica e all’inconoscibile dal punto di vista dell’indagine speculativa, semplicemente la inserisce nell’ambito di una scienza a se stante, dotata di un suo statuto epistemologico. E l’Uomo, da questo punto di vista, è un essere pienamente cosciente delle proprie potenzialità intellettive, così come dei limiti che naturalmente sono imposti alla sua facoltà di conoscere.
Gnoseologia. Filosofia contemporanea
Dopo Kant, con la nascita dell’idealismo tedesco, in particolare con Hegel, le categorie conoscitive da puramente “formali” diventano insieme “forma e contenuto”, ossia categorie logiche-ontologiche. Per Hegel la conoscenza non avviene a livello intuitivo, ma è frutto di una mediazione razionale, il risultato cioè di un processo con cui la ragione giunge a dedurre da sé tutta la realtà. La gnoseologia giunge così a un punto di svolta, presumendo di trovare nel sapere scientifico quella garanzia di certezza e oggettività così a lungo inseguita dalla filosofia. Nasce il positivismo ottocentesco con la filosofia contemporanea, e di conseguenza si perviene alla configurazione dei vari indirizzi della filosofia analitica. D’altro canto permane l’ambito della cultura umanistica, artistica e letteraria, separato da quello scientifico, promuovendo concezioni idealistiche, romantiche ed esistenzialiste.
In conclusione citiamo soltanto il relativismo gnoseologico, quello di Nietszche, per cui la conoscenza non si basa su concetti oggettivi.
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