Hybris: Tra mitologia e sindrome psicologica

Hybris: Tra mitologia e sindrome psicologica

Dal folle volo di Ulisse alla tela di Aracne, sono molti gli episodi della cultura greca che ruotano intorno all’Hybris, il difetto fatale che caratterizza la maggior parte degli eroi dei miti che tanto amiamo. Tracotanza, orgoglio, trapasso dei limiti umani: nella cultura attuale sono molte le denominazioni con cui si è cercato di spiegare il significato di questa parola. Tuttavia, prima ancora di essere utilizzato all’interno della cultura letteraria, nell’Atene classica assumeva il ruolo di termine giuridico, il quale andava a classificare un tipo di reato -o di affronto- di particolare gravità, ma senza specificare quale tipo di reato fosse. In ambito giuridico, si andava a condannare un atto nato dal piacere di umiliare una persona considerata inferiore, dimostrando tutta la propria forza e superiorità. Col tempo, però, è andata a caratterizzare anche fortemente la mitologia del mondo classico, ponendosi come uno degli affronti maggiormente puniti dagli dei.

Parlando di prevaricazione, infatti, nella cultura greca, la hybris si definisce come tentativo di superare i limiti umani, ponendosi al pari o al di sopra delle divinità stesse. Gli eroi protagonisti delle storie di guerre e amori, sopravvalutano sempre le proprie forze al punto da credere di poter sfidare quelle divinità che li hanno creati e consentono loro una vita tranquilla. Un affronto di tale genere, quasi sempre, una vendetta da parte di quelle stesse divinità che sono state oltraggiate dal comportamento umano. Ed è per questo motivo che, all’interno dei miti greci, la figura della Hybris viene sempre affiancata a Nemesis come diretta conseguenza delle proprie azioni, e a Dike, sua contrapposizione, ovvero la Giustizia divina che mette in atto la vendetta nei confronti dell’eroe.
L’Hybris affonda le sue radici sin dall’inizio dei tempi, almeno secondo la mitologia classica. Attraverso la condivisione e la diffusione dei miti, venivano insegnati agli uomini anche i caposaldi e i valori della società in cui vivevano. Pertanto, come una sorta di scuola di pensiero, essi venivano istruiti su ciò che si considerava giusto fare e su ciò che era visto in maniera peccaminosa dagli dei. Il primo a essersi macchiato di tale colpa, infatti, non sarebbe altro che Prometeo, il potente Titano portatore del fuoco all’umanità.

Prometeo, infatti, che era stato incaricato di plasmare l’umanità, aveva dato loro qualità che garantissero il progresso degli uomini stessi, cosa malvista da Zeus e dagli altri dei, i quali temevano che le sue creature potessero diventare troppo intelligenti. Motivo per cui, il re degli dei privò gli uomini del fuoco divino, che fu ritrovato e consegnato all’umanità da Prometeo stesso, garantendogli una punizione esemplare. Per aver posto gli uomini nella condizione di peccare di superbia, infatti, Prometeo venne legato a una roccia mentre delle aquile divoravano ogni giorno le sue viscere, le quali venivano rigenerate il mattino seguente. Secondo la mitologia, quindi, è stato lo stesso Prometeo ad aver messo gli uomini in condizione di sopravvalutare le proprie forze e di sfidare di volta in volta gli dei, in numerosi altri miti. Basti pensare ad Aracne, trasformata in un ragno per aver creduto di essere una tessitrice migliore di Atena o a Icaro, le cui ali di cera si sono sciolte per essere volato troppo vicino al sole. O a casi anche più eclatanti, come l’episodio di Sisifo, il quale aveva creduto di poter eludere la morte e vivere per sempre, esattamente come una divinità.

Tutte queste storie si concludevano puntualmente con l’intervento divino e una punizione per il malcapitato protagonista della vicenda che aveva così inconsciamente cercato di superare i limiti umani. Un atteggiamento che s’è riversato, in seguito anche in altri personaggi famosi incontrati in particolare nei poemi Omerici. In più di un episodio, infatti, i protagonisti delle sue opere si sono ritrovati a sfidare con arroganza il potere divino, generando un’inevitabile vendetta. Agamennone viene punito con la peste diffusasi nel suo accampamento per aver saccheggiato il tempio di Apollo e rapito Criseide, una sacerdotessa del dio. Per la stessa colpa, Achille stesso viene punito con la morte quando Apollo guida la freccia di Paride affinché colpisca l’unico punto debole del guerriero, il suo tallone. Episodi del genere si ritrovano anche all’interno dell’Odissea nella figura delle sirene, trasfigurazione allegorica della conoscenza. La leggenda, infatti, narrava che chiunque ne ascoltasse il canto, venisse travolto dalla sete di conoscenza che quest’ultime promettevano di estinguere, portando inevitabilmente i marinai a schiantarsi con le loro navi contro degli scogli per aver tentato di raggiungere una conoscenza preclusa esclusivamente agli dei.

Tuttavia, da cosa viene generata l’Hybris, con esattezza?

In quanto uno dei valori caposaldi della società greca, secondo la concezione di quest’ultimi la Hybris non era altro che un’arrogante volontà di superare i limiti umani. Essa era scatenata dall’Ate, ovvero da un potente accecamento della mente dell’uomo, che lo portava a commettere azioni superbe e malvagie, senza una reale coscienza di ciò che si stava mettendo in atto. In quei momenti infatti, l’uomo era così offuscato dal desiderio di primeggiare che questo faceva momentaneamente dimenticare la natura delittuosa dell’azione che si apprestava a compiere. L’assenza di razionalità, pertanto, e il rifiuto delle leggi divine portavano alla vendetta degli dei sul tracotante. Generazioni di miti e leggende hanno caratterizzato società di ogni tipo, imprimendosi anche e soprattutto nel Cristianesimo odierno. Nella Bibbia, il gesto di Adamo e Eva nel cogliere il frutto proibito, non è altro che un monito attuale di ciò che i Greci tramandavano tremila anni prima. L’uomo, ancora una volta, vuole porsi al pare degli dei che lo hanno creato, sfidando i limiti della propria umanità. Egli è l’essere che guarda sempre in su, che rifiuta i propri limiti nel tentativo di superarli e cerca di raggiungere ciò che non ha mai visto e mai sperimentato. Il desiderio di conoscenza superiore e superamento di se stessi è insito nell’essere umano e radicato sin nell’etimologia del nome che lo caratterizza: non è certo un caso che anthropos, la parola greca che indica l’essere umano, significhi proprio “colui che volge il capo all’insù”.
Ciononostante, è proprio il superamento dei limiti che ha garantito il progresso dell’umanità. Pertanto si entra nella spinosa questione circa la natura di questo cosiddetto “difetto fatale”.

Se il superamento del limite reca un vantaggio, l’Hybris è davvero un difetto?

C’è da dire che, nella mitologia antica, l’idea del travalicamento dei limiti non era vista di buon occhio a causa dell’ipotetica vendetta divina che poteva abbattersi sugli esseri umani. Ciò scatenava negli uomini un automatico terrore circa le proprie azioni, le quali venivano ponderate per evitare risvolti spiacevoli. Complice di queste credenze era sicuramente l’ignoranza che accompagnava la maggior parte della popolazione classica  e che vedeva nei miti le spiegazioni di fenomeni naturali del tutto sconosciuti agli uomini. E se ci soffermasse un tantino più del necessario su queste assurde credenze, si inizierebbero a notare le falle del sistema. Si prenda, ad esempio, lo stesso mito di Prometeo, il quale viene punito per il suo senso di giustizia nel tentativo di liberare gli uomini dalla bestialità. Se da un lato, Prometeo viene condannato per aver disobbedito a Zeus, però, dall’altro si evince il timore del signore degli dei per il progresso umano che potrebbe portare l’uomo stesso a non credere più in false credenze.

Allo stesso modo, nel mito di Aracne, la tessitrice crea effettivamente una tela molto più bella di quella di Atena, ma viene comunque punita per essersi vantata di aver quel talento. Tuttavia, se Aracne era effettivamente più brava di Atena come tessitrice, perché la dea avrebbe dovuto punirla esclusivamente per non ammettere la sconfitta?

E allo stesso modo, nel Cristianesimo, la storia del frutto proibito aveva l’unico intento di generare timore e riverenza nei confronti di quel Dio che aveva dato origine al mondo e all’umanità.

Se tutti questi miti e leggende dunque fossero stati smentiti a loro tempo attraverso l’uso della razionalità, si sarebbe perso fiducia nella religione e nei loro emissari, che avrebbero automaticamente perso potere e influenza nelle masse. E forse è questo che si è voluto tanto evitare nell’alimentare queste leggende poiché mantenendo il popolo nell’ignoranza e nel timore di ripercussioni future, quest’ultimo risultava più facilmente manovrabile in virtù di un rispetto di leggi e moralità che garantivano il paradiso alla fine della vita mortale.

E parlando di Cristianesimo, Shakespeare è sicuramente l’autore che ha trattato la tematica più di tutti all’interno delle sue tragedie. I suoi personaggi erano generalmente uomini governati dal desiderio di prevalere anche al di sopra di predestinazione e fato, come crede di fare lo stesso Macbeth. Il protagonista della tragedia crede di poter piegare il soprannaturale al suo volere, arrivando a pensare che quest’ultimo giustifichi il suo operato e le sue azioni prevaricatrici. Le personificazioni della Lady e delle streghe che preannunciano il suo destino non sono altro che strumenti, invece, per punire la sua colpa. Nel tentativo, infatti, di far avverare la profezia proclamata dalle streghe, Macbeth finisce per essere l’autore della sua stessa tragedia.

Al pari di Prometeo, Amleto presenta un’Hybris più sottile, in quanto entrambi sono convinti di poter migliorare il mondo e che il destino di quest’ultimo dipenda dalle proprie azioni. Amleto, pertanto, sfida i propri limiti spinto da un inarrestabile senso di giustizia che lo porta inevitabilmente a peccare e a essere condannato per questo. E anche in Re Lear e ne La tempesta l’Hybris si presenta nel rapporto col soprannaturale che appare l’unico modo per superare i limiti imposti dalla natura umana, finendo per essere la causa stessa della maledizione di questi protagonisti, i quali finiscono inevitabilmente per fallire e subire una punizione.

Nel settore psicologico, la Sindrome di Hubris è stata descritta, per la prima volta, nel 2009 da Lord David Owen e Jonathan Davidson sulla rivista Brain: a journal of neurology, sottolineando la sua vicinanza ad altri tre disturbi della personalità: narcisistico, istrionico e antisociale. In particolare, la sindrome è tipica di personaggi al potere come Donald Trump, Silvio Berlusconi e Margaret Thatcher. Attraverso questo studio, è stato dimostrato come il potere può influenzare la capacità altrui di vedere e sentire, ma in particolar modo di ridurre l’empatia nei confronti del prossimo. Tale prospettiva è stata dimostrata attraverso un semplicissimo esperimento che prevedeva di chiedere a un numero selezionato di uomini e donne di potere di scrivere una “E” maiuscola sulla propria fronte, ricordando una particolare esperienza di potere. Gli individui con alto livello di potere avevano più probabilità nel trascrivere la “E” nella direzione in cui loro stessi l’avrebbero letta, a differenza di coloro con basso livello di potere. E ciò si verifica esclusivamente quando il potere si è mantenuto per un certo arco temporale che vada da uno ai nove anni. L’individuo affetto da tale sindrome tendono a prendere decisioni in maniera impulsiva e tenendo unicamente conto del proprio interesse personale, provocando conseguenze disastrose in ambito politico e sociale.

Secondo gli studi, tale sindrome è suscitata in primis dal fatto di trovarsi vittoriosi all’interno di una situazione in cui si pensava di fallire. La vittoria può scatenare in lui un disprezzo nei confronti delle persone di cui è responsabili e che potrebbero commettere errori, vanificando il proprio operato. Ciò può a sua volta generare errori di valutazione che possono compromettere non solo la propria immagine ma anche l’operato futuro. Ciò è dovuto, secondo Owen e Davidson, ai sistemi dopaminergici e serotoninergici nel cervello, che generano un rafforzamento della propria immagine in situazioni più o meno complesse. La sensazione di benessere suscitata da queste circostanze porta ad agire, in maniera consapevole o meno, di nuovo nello stesso modo pregiudicando il buon senso e la moralità dell’azione stessa, in quanto colui che agisce risulta totalmente incurante dei risvolti negativi che potrebbero verificarsi.

Pertanto, nell’ambito politico, questo atteggiamento risulta più che sviluppato e questo contamina anche la società in cui questi individui si trovano ad agire con una posizione di potere determinante. Il paradosso è che, secondo i recenti studi, chiunque a contatto con il potere per un periodo di tempo, più o meno prolungato, possa sviluppare tale sindrome anche se apparentemente non ne risulta affetto. E sembra che nessuno possa sfuggire a questo brama di superare se stessi e i propri parametri di riferimento.

In conclusione, se da un lato non lasciarsi frenare dai propri limiti risulta vantaggioso per l’essere umano, consentendogli di raggiungere nuove vette di gloria e costringendolo a reinventarsi continuamente, dall’altro se in eccesso, la Hybris potrebbe portare a conseguenze disastrose per tutti quelli coinvolti e sottomessi al potere del tracotante. La moderazione risulta essere l’unica alternativa per contenere uno spirito che si sia lasciato influenzare in maniera eccessiva dal proprio desiderio di prevalere, e sembra l’unico strumento che possa evitare alla Hybris di prendere il sopravvento. Il troppo stroppia, insomma!

 

Fonte immagine: https://pixabay.com/it/photos/monumento-statua-dei-greci-figure-2011140/

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