La religione dei romani: origini ed evoluzione

La religione dei romani: origini ed evoluzione

La caratteristica principale della religione dei romani era il politeismo: i Romani avevano infatti un cielo popolato di dei, la cui esistenza, come in tutte le religioni primitive, era motivata dal tentativo di dare una spiegazione ai fenomeni della natura. La famiglia, dove si onoravano le anime degli antenati, era la sede originaria dei riti religiosi. Ma agli dèi i Romani tributavano anche un culto pubblico, la cui funzione essenziale era di mantenere unita la comunità.

La religione dei romani delle origini

La religione delle primitive tribù latine era di tipo animistico e consisteva nella credenza in un numero infinito di spiriti che avevano sede in determinati oggetti e località: Terminus, lo spirito della pietra di confine; Vesta, lo spirito del focolare, i Penates, gli spiriti della dispensa e molti altri. In seguito, si immaginò che alcuni spiriti esercitassero una speciale attività connessa con le occupazioni quotidiane degli uomini e li si concepì perciò come numina ovvero divinità: la maggior parte presiedeva ai lavori agricoli e ogni fase della lavorazione della terra era collegata con un numen, così ad esempio Sarritor per la sarchiatura, Ocator per l’erpicatura.

La religione dei romani alle origini celebrava però i suoi riti soprattutto all’interno della famiglia quale primo nucleo sociale, e aveva come capo, cioè sacerdote, il pater. Il pater presiedeva ai riti degli antenati defunti, che venivano onorati in casa attorno al focolare, e a quelli in onore dei Penates, che dovevano proteggere la famiglia e la sua prosperità. A essi si aggiunse il Lar, numen protettore della famiglia. Al pater spettava poi celebrare i riti adatti per ingraziarsi le potenti forze della natura, per ognuna delle quali doveva propiziare l’apposito numen.

Per la religione dei romani, gli eventi del mondo erano condizionati dalla volontà di divinità buone e cattive. Un buon comportamento poteva allontanare gli eventi negativi e per questo si eseguivano rituali come i sacrifici animali: su un altare dove era stato bruciato incenso, un toro, un maiale o una pecora erano aspersi di vino e poi uccisi secondo un preciso rituale.

Successivamente i sacerdoti esaminavano le interiora degli animali per interpretare il volere degli dèi. Già prima della fondazione di Roma, alcune delle più antiche entità spirituali avevano acquistato una posizione preminente. Fra esse, oltre a Vesta, ai Lari e ai Penati, vi erano Giove, Marte e Quirino, che costituirono la prima triade di dei dell’antica Roma, poi sostituiti per influsso etrusco da Giove, Giunone e Minerva.

L’evoluzione del culto romano

Con il passare dei secoli il numero degli dèi si accrebbe ulteriormente per mezzo di quelli che i Romani assumevano dalle città che conquistavano.

Successivamente entrarono nel culto a Roma anche le divinità greche, che per la maggior parte dei casi finirono per identificarsi con quelle latine simili. Si completava così un processo, già iniziato dagli Etruschi, che trasformò le antiche entità impersonali di una religione che credeva nelle forze della natura in dèi con una precisa figura fisica, simili agli uomini. La religione ebbe sempre a Roma un ruolo decisivo nel mantenimento della coesione sociale e nel rafforzamento del senso di identità nazionale del popolo romano.

I Romani avevano una grande considerazione dei riti della loro tradizione ma la loro religiosità consisteva nell’attaccamento a un insieme di pratiche destinate a guadagnare e a mantenere la protezione divina sulle attività pubbliche e private, a garantire l’armonia fra il mondo degli dèi e quello degli uomini. Importava molto meno quindi ai Romani trovare nella religione il conforto di una vita dopo la morte. Da questo derivava il gran numero di magistrature romane incaricate di vegliare sul corretto svolgimento dei riti. La maggiore era costituita dal collegio dei pontefici, presieduto da un Pontifex Maximus, che fu sempre controllato dalle maggiori famiglie patrizie.

I pontefici stabilivano il calendario, le feste, i giorni propizi alle funzioni politiche, l’insieme delle cerimonie pubbliche. Simile era il ruolo degli auguri, cui spettava il compito di decifrare gli auspici inviati dagli dèi: auspici negativi potevano indurre gli auguri a sospendere attività politiche, elezioni, imprese militari sulle quali a loro parere non si esprimeva il favore degli dèi. Per questa via essi potevano influire direttamente sulla vita politica della repubblica.

In fine con la formazione dell’impero la religione romana accentuò ancora di più questo carattere politico: nacque infatti il culto dell’imperatore, al quale si doveva tributare omaggio come a una divinità.

Fonte immagine in evidenza: wikipedia. 

A proposito di Antonio Alborino

Vedi tutti gli articoli di Antonio Alborino

Commenta