Lingue dell’Est e del Sud-Est asiatico: 3 caratteristiche distintive

lingue dell'Est e del Sud-Est asiatico

In quest’articolo ci soffermeremo su alcune peculiari caratteristiche delle lingue dell’Est e del Sud-Est asiatico. Alla domanda «Quante lingue ci sono in quest’aerea?» molte persone probabilmente risponderebbero «una dozzina», nel tentativo di eguagliare il numero di Paesi coinvolti. Questa risposta sarebbe parzialmente corretta se stessimo parlando esclusivamente delle lingue nazionali, vale a dire le lingue che sono il mezzo ufficiale del governo, dell’istruzione e dei media. Se parliamo, invece, di tutte le lingue dell’area, il numero totale cresce esponenzialmente. Esistono infatti centinaia di lingue in Paesi come la Cina, le Filippine e l’Indonesia e dozzine di lingue nella maggior parte degli altri Paesi della regione.

Le lingue possono essere raggruppate in vari modi. Uno di questi è quello di ricorrere agli alberi genealogici, cioè il soffermarsi sulle loro origine storiche. Ad esempio, molte persone sapranno che le così dette lingue romanze (es. francese, spagnolo, italiano) discendono tutte da una comune e sola lingua antenata: il latino. Esse costituiscono una piccola famiglia linguistica, o più precisamente, il ramo di una famiglia più ampia (le lingue indoeuropee) che abbraccia – una volta presi in considerazione tutti i rami dell’albero genealogico, come il ramo germanico e quello slavo – la maggior parte delle lingue d’Europa. Diciamo così che tutte queste lingue sono geneticamente correlate.

A questo punto sarebbe opportuno chiedersi quante famiglie linguistiche ci siano nell’Est e nel Sud-Est asiatico. La risposta breve è che ci sono 6 famiglie principali (lingue austronesiane, mon-khmer, tai-kadai, tibeto-birmane, sinitiche e hmong-mien) oltre a lingue come il giapponese e il coreano i cui antenati non sono chiari. Da un punto di vista genetico, le lingue dell’Est e del Sud-Est asiatico sono molto più variegate di quelle europee.

L’albero genealogico, tuttavia, non è l’unico modo per raggruppare le lingue. Un altro approccio è quello di suddividerle in base alle somiglianze che ci sono tra esse: ad esempio nella pronuncia, nella grammatica o nel vocabolario. Questo tipo di approccio è definito tipologico e se lo applichiamo, nel caso della regione di nostra interesse, la situazione linguistica cambia e anche di molto. Il motivo risiede nel fatto che lingue di famiglie diverse sono state in contatto tra loro per molti anni e si sono influenzate reciprocamente in vari modi. Questo è il motivo per il quale ci siano lingue geneticamente non correlate tra loro che condividono molte caratteristiche della struttura linguistica.

Passiamo ora in rassegna alcune delle peculiari caratteristiche delle lingue dell’Est e del Sud-Est asiatico. 

1. Mancanza di flessione 

Una caratteristica condivisa da molte lingue dell’Est e del Sud-Est asiatico, che non ritroviamo in inglese e altre lingue europee, è ciò che i linguisti chiamano mancanza di flessione. In parole povere, la flessione si verifica quando la forma di una parola cambia per indicare un aspetto aggiunto del significato che è rilevante in un particolare contesto grammaticale. In inglese, ad esempio, i nomi hanno una forma speciale -il plurale- che indica che ci si riferisce a più di uno degli elementi in questione. Diciamo dunque che i nomi inglesi presentano flessione per la categoria grammaticale del numero, i cui valori sono singolare e plurale. Allo stesso modo, diciamo che i verbi inglesi presentano flessione per la categoria grammaticale del tempo, nel senso che hanno forme diverse per indicare se l’evento stia accadendo ora o se sia già accaduto.

Nel tailandese, per esempio, i verbi non presentano flessione per la categoria del tempo. In tailandese sono spesso gli avverbi a suggerire il fatto che si tratti di un’azione che sta avvenendo; il fatto che l’azione sia nel passato o nel futuro è invece indicato da parole grammaticali distinte. Tuttavia può succedere che in tailandese, le frasi possono riferirsi al passato o al presente senza che questo venga evidenziato in alcun modo apertamente: lo si deduce dal contesto.  Ancora una volta, a differenza dell’inglese, i nomi tailandesi non presentano flessione per la categoria del numero. Naturalmente, se il parlante tailandese vuole specificare il numero di libri, ciò è possibile utilizzando una parola numerica o un’altra parola di quantificazione. Il tailandese non ha neanche parole che corrispondano all’articolo determinativo e indeterminativo dell’inglese. Questa è una caratteristica, per altro, molto diffusa nelle lingue dell’Est e del Sud-Est asiatico, anche se quest’ultime utilizzano spesso parole dimostrative in modi simili agli articoli.

Un’altra caratteristica degna di nota è che, in tailandese, non c’è distinzione di genere nei pronomi di terza persona. Cioè la parola khaw viene utilizzata indistintamente, a prescindere che si tratti di un uomo o una donna. Se osserviamo altre lingue del Sud-Est asiatico continentale, ci renderemo conto del fatto che la maggior parte delle lingue è simile al tailandese, in quando non presentano flessione per il tempo e il numero. Queste lingue, inoltre, non presentano flessione in base al ruolo grammaticale (come soggetto o oggetto) che una parola o un sintagma ricopre all’interno di una frase. In inglese, il pronome di prima persona singolare cambia forma a seconda della sua posizione nella frase, la quale è legata al suo ruolo grammaticale. Se viene prima del verbo è I, ma se viene dopo il verbo è me.

In malese e in cinese mandarino, però, i pronomi restano gli stessi indipendentemente dalla loro posizione o il loro ruolo grammaticale. Per riassumere, nella maggior parte delle lingue dell’Est e del Sud-Est asiatico, le parole non si flettono per tempo, numero, genere e caso. Dobbiamo sottolineare, tuttavia, che questa è una generalizzazione e per tanto è una condizione che non ritroviamo in tutte le lingue della regione. Lingue come il giapponese e il coreano, infatti, presentano flessione nei loro sistemi verbali. Il giapponese ha suffissi che indicano i valori del tempo: –ru e –u indicano ciò che è tecnicamente definito non passato, mentre –ta e/o –da indica il passato.

2. Il tono lessicale 

Dal punto di vista della pronuncia, uno degli aspetti più noti generalmente delle lingue dell’Est e del Sud-Est asiatico è quello del tono. La maggior parte delle persone probabilmente sa che in cinese, ad esempio, la stessa sequenza di suoni può avere diversi significati a seconda del tono con cui essa è pronunciata. Usando una terminologia più precisa, questo fenomeno è detto tono lessicale, per chiarire il fatto che il tono faccia parte dell’identità lessicale delle parole in cinese. Questo vuol dire che esso serve a distinguere una parola da un’altra: in linguistica si dice che il tono, per tanto, abbia valore distintivo. Una sua pronuncia errata, infatti, può rendere la parola completamente irriconoscibile. Chiaramente, le lingue con tono lessicale possono differire sostanzialmente l’una dall’altra per la natura del sistema tonale. Non solo possono esserci quantità diverse di toni, ma anche la tipologia di toni varia a seconda della lingua. Tra le lingue dell’Est e del Sud-Est asiatico, il cinese ad esempio è dotato di 4 toni, ma il cantonese che il vietnamita ne hanno 6 e ci sono lingue che ne presentano anche di più.

3. Costruzioni classificatrici 

Un’altra caratteristica delle lingue dell’Est e Sud-Est asiatico è la presenza di costruzioni classificatrici. Diciamo che una lingua presenta costruzioni classificatrici quando ha mezzi grammaticali che, in determinati contesti, obbligano in qualche modo i parlanti a classificare la persona o la cosa di cui stanno parlando – il referente – in termini di determinate dimensioni semantiche. Per quanto riguarda gli essere viventi, queste dimensioni possono riguardare il fatto che il referente sia o meno un essere umano e, in caso non lo sia, a quale tipologia di forma di vita appartenga. Per le cose inanimate, le dimensioni semantiche possono includere le proprietà fisiche (es. forma, dimensione, materiale) o le funzioni.

Nelle lingue dell’Est e del Sud-Est asiatico, la costruzione più comune è quella del classificatore numerico. I classificatori numerici si trovano all’interno di determinati sintagmi nominali, apparendo accanto a numeri e altre espressioni di quantificazione, talvolta anche con dimostrativi. Il classificatore può essere una parola o, meno frequentemente, un affisso. In giapponese, ad esempio, essi sono dei suffissi che si attaccano ai numeri. Lingue come il malese, tailandese e cantonese, sono invece più tipiche della regione in quanto hanno classificatori che sono parole distinte e non affissi. Nel caso di queste lingue, il termine classificatore numerico è improprio, perché i classificatori si trovano con espressioni di quantificazione di ogni tipo e non solo con i numeri in senso stretto.

Fonte immagine in evidenza: Freepik

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