Piratesse, le più famose della storia

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La storia di alcune delle piratesse più famose di tutti i tempi, a metà strada tra la leggenda e la realtà, e delle loro imprese.

Quando si pensa ai pirati la prima immagine che ci viene in mente è quella di un mondo maschile composto da uomini che, vuoi per necessità o per spirito d’avventura, solcano i mari a bordo di enormi galeoni pronti a far fuoco su navi piene di ricchezze o in cerca di qualche isola in cui è nascosto un immenso tesoro. Il tutto accompagnato da bevute di rhum, canzonacce strimpellate da mozzi e burberi capitani con una benda sull’occhio e l’immancabile pappagallo sulla spalla che urla ordini al proprio equipaggio. Un mondo in cui la donna non ha decisamente spazio, vero?

E invece no. La storia della pirateria è piena di piratesse, donne che hanno rifiutato la tranquillità del focolare domestico per intraprendere una vita fatta di arrembaggi, saccheggi e risse.

Alcune di queste donne hanno abbracciato questo stile di vita per puro piacere, altre sono state spinte da cause più o meno nobili. Allora imbarchiamoci anche noi su una di queste navi, issiamo le vele e la nostra bandiera con il teschio, facciamo scorta di liquore e afferriamo con mani salde il timone. Stiamo per navigare tra le storie delle piratesse più famose della storia.

Piratesse famose

Teuta, la regina degli Illiri

La pirateria era un’attività già esistente nel mondo antico, praticata da popolazioni legate al mare che invadevano piccoli villaggi, facendo razzia di bottino e ostaggi. Veniva considerata anche un’attività economica legittima, perché contribuiva ad arricchire le casse dello stato.

Tra i popoli specializzati in questa attività c’era quello degli Illiri, formatosi lungo le regioni dell’Illiria e della Pannonia. Nel III secolo a.c. il loro regno fu retto dalla regina Teuta, moglie del defunto sovrano Agrone.

Teuta sfruttò la pirateria a proprio vantaggio, per proseguire la politica di espansione iniziata dal marito. La regina potenziò le flotte degli Illiri che invasero e saccheggiarono le isole greche vicine a Corcira (l’attuale Corfù), conquistando la città di Fenice in Epiro nell’odierna Albania.

In poco tempo il regno illirico comprese un enorme territorio che Teuta aveva intenzione di allargare, ponendosi l’obiettivo di conquistare le coste greche dell’Epiro e della Macedonia. Tutto questo destò le preoccupazioni di Roma, che considerava quei territori delle importanti rotte commerciali.

Stando a quanto racconta Polibio nelle Storie, Teuta ricevette la visita di due ambasciatori romani. Essi cercarono di convincerla a limitare l’attività dei pirati, che attaccavano le navi mercantili di Roma. La regina, in tutta risposta, fece uccidere il più giovane dei due ambasciatori, Lucio. Un motivo sufficiente affinché Roma dichiarasse guerra all’Illiria.  

Il conflitto ebbe luogo tra il 229 e il 228 a.c. ed ebbe come sfondo l’isola di Passo. La vittoria andò ai Romani grazie anche al tradimento di Demetrio di Faro, comandante dell’esercito illirico che si mise sotto la loro protezione permettendogli di conquistare i territori dell’impero Illirico.

Quando i Romani entrarono a Scutari, capitale del regno, Teuta fu costretta a rifugiarsi a Rizzone e inviò ambasciatori a Roma per negoziare la pace. La regina, oltre a pagare i consueti tributi, avrebbe dovuto rinunciare a gran parte delle terre illiriche e a ogni intervento militare nelle isole greche.

Sembra che fu proprio l’imposizione di queste dure condizioni a condurre Teuta al suicidio, riluttante all’idea di essere sottomessa ai romani.

La leggenda di Awilda

Spostiamoci ora in terra scandinava dove ad attenderci c’è Awilda, una principessa vissuta forse nel V secolo e la cui esistenza è avvolta nel mistero.

Una leggenda vuole che il padre, sovrano dell’isola di Gotland, l’avesse fatta rinchiudere in una torre sorvegliata da due serpenti velenosi e da numerose trappole al suo interno. Solo chi avrebbe avuto abbastanza coraggio di affrontare i pericoli all’interno della torre avrebbe potuto chiedere al re la mano della figlia.

A riuscire nell’impresa fu Alf, giovane successore al trono di Danimarca, ma Awilda rifiutò di sposarsi e riuscì a fuggire travestendosi da uomo. Rubò una nave e ne divenne il capitano, reclutando alcune sue amiche per dar vita a una ciurma di sole donne che spadroneggiarono nel Mar Baltico.

A un certo punto Awilda si imbatté in una nave pirata orfana del proprio capitano, morto da poco. Awilda mostrò il suo valore all’equipaggio e ne divenne il capo. Intanto le notizie delle sue gesta giunsero alle orecchie del re di Danimarca che incaricò proprio Alf di porre fine alle sue scorribande.

Awilda e la sua ciurma furono sconfitti e fatti prigionieri da Alf il quale, tuttavia, era ignaro del fatto che il capo dei pirati fosse proprio la donna che avrebbe dovuto sposare. Fece allora togliere l’elmetto che Awilda portava sul capo per nascondere la sua identità e si rivelò a lui, affermando di essere rimasta colpita dal suo coraggio e che per questo avrebbe accettato di sposarsi. I due convogliarono a nozze e trascorsero il resto della loro esistenza come sovrani di Danimarca.

Jane de Bellville, piratessa per vendetta

Tra le piratesse famose nella storia c’è anche chi è divenuta tale non per spirito di avventura o per interessi economici, ma perché spinta dalla sete di vendetta e di giustizia. È il caso della protagonista della storia che stiamo per raccontare, quella di Jane de Bellville.

Nata nel 1300, dopo due matrimoni finiti male Jane si unì a Olivier IV de Clisson, un ricco bretone che possedeva molte proprietà tra cui un castello a Clisson e una casa padronale a Nantes. Di lì a poco, però, la vita di Jane sarebbe cambiata.

Nel 1341 scoppiò un conflitto noto come la guerra di successione bretone. La famiglia de Clisson non prese bene la scelta del figlio Oliver di schierarsi dalla parte del pretendente al trono francese, il duca Carlo di Blois. Per questo suo fratello Amaury si schierò con gli inglesi e il pretendente Giovanni di Montfort. Nel 1342 gli inglesi conquistarono Vannes e Oliver venne fatto prigioniero. Fu poi liberato tramite il pagamento di una somma bassa e ciò portò Carlo di Blois a condannarlo per tradimento, poiché ritenuto incapace di difendere la città.

Il 2 agosto del 1343 Oliver fu giustiziato, la sua testa venne infilzata su di una lancia ed esposta alla porta di Sauvetout. Jane era furiosa per ciò che i francesi avevano fatto al marito e giurò di vendicarsi del duca e del re di Francia. Vendette le sue proprietà e seguita da pochi uomini e dai suoi figli, Guillame e Oliver, si incamminò verso il castello occupato da un ufficiale di de Blois. Jane e i suoi uomini massacrarono senza pietà tutta la sua guarnigione ad eccezione di un soldato, che avrebbe avuto il compito di raccontare l’accaduto al duca.

Ma Jane non era soddisfatta. Con il sostegno della corona inglese acquistò tre navi dagli scafi dipinti di nero e su cui fece issare delle bandiere rosso fuoco. Era nata la flotta della Black Feet, che avrebbe portato morte e distruzione nello stretto della Manica e Jane ribattezzò la nave ammiraglio My Revenge (“La mia vendetta”). Ben presto la piratessa si guadagnò il soprannome de “La leonessa sanguinaria della Britannia” attaccando le navi dei francesi e massacrandone l’equipaggio, lasciando in vita solo qualche superstite costretto a riferire gli orrori a cui aveva assistito.

La storia di Jane ha un lieto fine. Nel 1356 si sposò con Walter Bentley, deputato militare di re Edoardo III, e assieme a lui visse gli ultimi anni nel castello di Hennebont.

Piratesse famose: Anne Bonny e Mary Read

Nel diciottesimo secolo i mari dei Caraibi, scenario per eccellenza della pirateria, fecero da sfondo alle vicende di due delle maggiori piratesse del periodo: Anne Bonny e Mary Read.

Le informazioni sulla vita di Anne Bonny sono state raccolte, in modo molto romanzato, dal capitano Charles Johnson (forse uno pseudonimo dello scrittore Daniel Defoe) nella sua Storia generale dei pirati. Doveva essere nata attorno al 1628 presso Cork, in Irlanda, figlia illegittima di un avvocato e di una domestica. Fin da giovane mostrò un carattere fiero e ribelle, tanto che a tredici anni si ribellò a un tentativo di stupro.

Nel 1720 si sposò con il marinaio John Bonny e con lui si trasferì nell’isola di New Providence nelle Bahamas. Tuttavia Anne si innamorò di John Rackam, un pirata noto con il soprannome di “Calico Jack” e inventore del Jolly Roger, il celebre stemma formato da un teschio bendato con due sciabole sotto il mento che diverrà il simbolo universale dei pirati. Anne, abile con la pistola e addetta agli esplosivi, decide di seguirlo nelle scorribande lungo le coste della Jamaica.  

Sembra che durante uno di questi arrembaggi Anne avesse fatto la conoscenza di Mary Read, anche lei figlia illegittima. Si racconta che, quando era giovane, la madre la travestì da uomo e in questo modo salì su una nave da guerra arruolandosi come soldato. Lì conobbe anche suo marito, ma ben presto rimase vedova e si imbarcò nei Paesi Bassi su una nave diretta verso le Indie Orientali. Fu in quell’occasione che l’equipaggio di Calico Jack assalì la nave e Mary, che nel frattempo aveva cessato il travestimento, si unì ai pirati.

Anne e Mary divennero grandi amiche e si guadagnarono il rispetto dell’equipaggio, tant’è che assieme a Calico Jack presero il comando di una seconda nave con la quale organizzarono grandi arrembaggi lungo i Caraibi. La loro avventura finisce nel 1720 quando, dopo una coraggiosa e strenua resistenza, l’intera ciurma venne catturata da un vascello militare. Le due piratesse vennero processate il 28 novembre e furono condannate all’impiccagione, anche se la loro esecuzione fu rinviata in quanto pareva che fossero entrambe incinte.

Ching Shih, la regina dei pirati

Anche il lontano oriente ha una lunga tradizione di storie di piratesse e una delle più famose è Ching Shih.

Nata nel 1775 a Canton da una famiglia di umili origini, si guadagnava da vivere prostituendosi in un bordello. Tra i suoi clienti abituali c’era Zheng Yi, uno dei pirati più temuti a capo di quella che era la flotta più grande all’epoca, la Red Flag Feet, capace di intimorire persino l’impero cinese retto dalla dinastia Qing. Egli si era innamorato di Ching e decise di sposarla, ma la donna dimostrò sin da subito un carattere forte e deciso affermando che avrebbe acconsentito alle nozze solo se avesse condiviso con lei parte del bottino e il comando dei suoi uomini.

Sei anni dopo Zheng morì in Vietnam per cause poco note e Ching si ritrovò a capo di un’immensa flotta, composta da 1.800 navi e 80.000 uomini. Per farsi accettare dall’equipaggio sposò Chang Pao, figlio adottivo di Zheng, affidandogli il comando delle truppe. Lei invece sarebbe stata responsabile degli accordi commerciali e delle alleanze.

In poco tempo la Red Flag Fleet raggiunse un potere spaventoso, saccheggiando navi e villaggi e controllando una vasta zona di territori asiatici. Ma a differenza del marito la “vedova Ching” (soprannome che altri non è se non la traduzione del suo nome) impose un codice di leggi ai suoi uomini: bisognava portare rispetto per le donne fatte prigioniere e per gli abitanti dei villaggi assoggettati, nessuno poteva prendere o dare ordini che non fossero stati dettati dal capitano, il bottino veniva registrato e solo una minima parte veniva data all’equipaggio, mentre quella restante sarebbe stata usata come fondo cassa per acquistare viveri e abiti. Chiunque avesse violato una sola di queste leggi sarebbe stato punito con la morte.

Naturalmente l’imperatore cinese guardava con preoccupazione alle scorribande di Ching, che aveva persino messo in ginocchio le navi della flotta imperiale. Egli si vide costretto a chiedere aiuto all’impero britannico e a quello portoghese, che in Cina avevano instaurato delle colonie. E proprio i portoghesi misero fine alla parabola di Ching nella battaglia della Bocca della Tigre il 28 gennaio 1810. Lei e i suoi uomini si arresero, ma l’imperatore concesse loro un’amnistia permettendo loro di avere salva la vita e di mantenere le navi e i bottini accumulati negli anni.

Ching appese la sciabola al chiodo e si trasferì a Macao, dove aprì un bordello e una casa da gioco. Sempre lì si spense, all’età di 69 anni, venendo ricordata ancora oggi come una delle piratesse più famose e potenti di tutti i tempi.

Immagine in evidenza: Pixabay

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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