Letteratura latina: cos’è la poesia satirica latina e cosa sono “Le Satire” del poeta latino Giovenale? Scoprilo con Eroica Fenice.
Cos’è la poesia satirica latina e dove nasce?
La poesia satirica è quella forma di poesia che utilizza l’umorismo, l’ironia e il sarcasmo per deridere la società e tutto ciò che da essa deriva. Si tratta, solitamente, di una poesia dai toni scherzosi, ma può anche diventare molto meno leggera e più amara. La poesia satirica latina presenta spesso come soggetto tutte le incongruenze e contraddizioni della società e delle istituzioni. Il termine “satira” deriva dall’aggettivo latino satur, che significa “pieno”, ma anche dall’ avverbio satis, che indica “abbastanza”, dunque il termine andrebbe a rappresentare il concetto di mescolanza. Essa nasce in epoca e in area romana e vede come i principali esponenti tutti quei poeti come Orazio e Giovenale, i principali scrittori di satira latina letteraria, da distinguere dalla satira drammatica, che invece veniva rappresentata a teatro.
Le Satire di Giovenale
Il contesto storico nel quale Giovenale scrive questo tipo di poesia satirica latina, confluita nelle Satire, è cruciale per la comprensione della stessa. Dopo la morte di Domiziano, il nuovo imperatore decide di utilizzare il “principio dell’adozione”, che garantisce ai migliori senatori la possibilità di giungere ai vertici dell’impero, e che porta al conflitto tra senato e principe. Nonostante ciò, gli intellettuali si sentono finalmente liberi di poter parlare, dopo il lungo periodo di tirannide sotto l’imperatore Diocleziano, che aveva soppresso ogni libertà di parola. Al contrario di tutti questi intellettuali, Giovenale è completamente dissonante rispetto al loro entusiasmo e lo si capisce proprio leggendo Le Satire.
La poesia satirica latina di Giovenale si concentra soprattutto sul tema della critica morale e sociale, poiché puntava il dito contro la corruzione e la lussuria, e ci sono alcune satire in particolare nelle quali Giovenale si è scagliato direttamente addosso a tutto quello che voleva attaccare con la sua poesia. Essa, inoltre, è caratterizzata dal pessimismo anche perché Giovenale visse, per tutta la sua vita, all’ombra di figure politiche molto importanti, senza avere libertà politica né economica.
Le Satire di Giovenale, in latino Saturae, non sono solamente l’unico esempio di poesia satirica latina scritta da Decimo Giunio Giovenale arrivata ai giorni nostri, ma anche la sua unica produzione scritta conosciuta, ad oggi. Si tratta di un’opera scritta nella prima metà del II secolo d. C., composta da 3873 esametri, divisa in sedici satire che sono a loro volta organizzate, in maniera disomogenea, in cinque libri.
La Satira I contiene tutte le informazioni più importanti e interessanti della poetica di Giovenale, che utilizza la poesia satirica latina proprio per esprimere il suo disgusto nei confronti di quella società contemporanea che a lui non piaceva proprio.
Nella Satira II, con la sua poesia satirica latina, Giovenale attacca tutti quegli uomini effeminati, e si scaglia, quindi, contro l’omosessualità, soprattutto quella caratterizzata dal vizio di essere troppo ostentata. Addirittura, in questa satira, anche una prostituta si scaglia contro questi uomini, e si giustifica affermando che almeno lei non nasconde i suoi vizi sotto il falso mantello della filosofia greca e che sono poche le donne che hanno rapporti con altre donne, rispetto agli uomini.
La Satira VI, ad esempio, è quella nella quale Giovenale utilizza la poesia satirica per attaccare, tramite l’utilizzo dell’ironia, i giudici romani e la loro corruzione, nonché la loro avidità. Infatti, non facevano il proprio lavoro onestamente, bensì preferivano trovare il miglior offerente al quale vendere le proprie sentenze. Dunque, in passato (ma anche nel presente) tutto ruotava attorno ai soldi e all’idea secondo la quale chi si trova in situazioni del genere, con un grande potere nelle proprie mani, sia di conseguenza libero di usarlo solo per il proprio interesse personale.
Nella Satira X, invece, attacca i nobili e gli aristocratici della società romana e la loro lussuria, alimentata dalla loro idea secondo la quale la ricchezza non fosse nemmeno in grado di garantire loro la felicità, come era accaduto a tanti nomi importanti di quel tempo e del passato, come Lucrezia e Ippolito, ad esempio, e i loro tristi destini.
L’ultima satira, la sedicesima, invece, si interrompe, probabilmente per un difetto di trascrizione o perché forse è rimasta incompiuta.
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