Outer Wilds: Echoes of the Eye, un DLC con un’identità tutta sua | Recensione

Echoes of the Eye

Una nuova esibizione al museo di Cuore Legnoso apre le porte a una nuova avventura, che espande l’universo di Outer Wilds introducendo nuove modalità di esplorazione, risposte a domande irrisolte, tanti colpi di scena e un pizzico di atmosfera horror. Ma Echoes of the Eye non si limita ad aggiungere un qualcosa alla storia narrata nel gioco madre: il DLC di Outer Wilds si rivela ben più di un contenuto aggiuntivo, assumendo caratteristiche proprie che lo rendono alla stregua di un videogioco a sé stante, seppur inscindibile dall’opera originale.

Outer Wilds, il meraviglioso videogioco di esplorazione spaziale ideato sviluppato da Mobius Digital e pubblicato da Annapurna Interactive nel 2019, sembrava essere un’opera già di per sé perfetta, ma volgere al termine di questa avventura spaziale lascia inevitabilmente un grande senso di vuoto nei cuori dei videogiocatori – dovuto anche al fatto che, ahimé, questo gioco non sia rigiocabile, quantomeno non a distanza di poco tempo dal termine della prima run.  Fortunatamente, nella metà del 2021, Annapurna Interactive ha annunciato l’imminente uscita del primo – e probabilmente unico! – DLC del gioco: Echoes of the Eye è stato reso disponibile a partire dal 28 settembre 2021, e non ha assolutamente deluso le aspettative. La piccola compagnia indipendente Mobius Digital si è rivelata più grande che mai nello stupire e toccare il cuore dei videogiocatori: vediamo perché questo DLC si può considerare un piccolo capolavoro.

Attenzione: l’articolo contiene spoiler che potrebbero rovinare l’esperienza di gioco. Vi consigliamo di continuare la lettura solo dopo aver terminato la vostra avventura spaziale!

Le premesse

Sul piccolo pianeta Cuore Legnoso, che ormai conosciamo molto bene, tutto sembra essere apparentemente sempre uguale – beh, del resto ci troviamo in un loop temporaleTutto tranne una nuova esposizione nel museo da cui tutto ha avuto inizio: vi è, infatti, una nuova mostra, che ripercorre le vicende di un satellite appena lanciato nello spazio dal programma spaziale teporiano, con lo scopo di fotografare i pianeti che compongono il nostro sistema solare e fornire agli esploratori una mappa, per aiutarli nel loro viaggio alla scoperta del cosmo. Le fotografie prodotte sembrano essere di ottima qualità e offrire una visione nitida e dettagliata dei pianeti, salvo uno scatto in cui il satellite pare aver immortalato una particolare eclissi, che Gabbro e Scogliocorno associano a un semplice errore di funzionamento dell’apparecchio fotografico. Che ingenui: si vede che non sono loro quelli che si trovano dall’altra parte dello schermo! Il nostro protagonista sa bene che in questo universo nulla è lasciato al caso e, lasciandosi guidare da questo indizio, si imbatte nello Straniero, un enorme pianeta artificiale che fa da protagonista all’avventura narrata in Echoes of the Eye: il videogiocatore viene a conoscenza di una misteriosa specie aliena, di cui non può tradurre la lingua, e che sembra aver combinato qualcosa di grosso, dato il modo in cui ha cercato di nascondere tutte le prove della propria esistenza e delle proprie azioni.

L’immagine, un linguaggio universale

La prima grande novità che introduce Echoes of the Eye è il completo cambio di rotta riguardo la modalità di raccolta di informazioni: sebbene rimanga centrale l’organizzazione dell’esplorazione basata sul loop temporale e sui mutamenti alla fisionomia del pianeta nel corso del tempo, a differenza di quanto è stato fatto con gli scritti nomai, non si ha modo di tradurre la lingua della bizzarra specie aliena che ha popolato Lo Straniero. Bisogna, quindi, fare affidamento alle immagini: e fortunatamente di immagini, su questo nuovo misterioso pianeta, ce ne sono a bizzeffe, tra quadri che immortalano le abitudini e le attività di questa popolazione, ritratti di famiglia e diapositive. Le diapositive sono un elemento cruciale per raccogliere indizi e comprendere la storia dietro Lo Straniero, ma presentano due problematiche: la prima è che, per quanto un’immagine possa risultare la forma di comunicazione più immediata, risulta essere molto più soggetta all’interpretazione soggettiva rispetto alla parola. Ciò sembra essere un riflesso delle differenze attitudinali che sussistono tra questi alieni senza nome – che, nei forum anglofoni, sono stati battezzati come Owlk – e i nomai: la loro impulsività, la centralità data a se stessi e alle abitudini del proprio popolo, l’ambiguità morale è completamente diversa dalla razionalità, la riflessione e la passione per la conoscenza scientifica che emergono dagli scritti nomai e dalle loro azioni. Ma veniamo alla seconda problematica: buona parte delle diapositive risulta essere stata bruciata. Oltre a dover interpretare le immagini, quindi, occorre essere in grado – quantomeno all’inizio – di mettere insieme quei pochi pezzi che ci vengono dati di ogni frammento di storia, cercare di comprendere cosa possa esserci sulle diapositive mancanti. Il rompicapo non risulta essere più complesso – anche perché, a differenza del gioco madre, in Echoes of the Eye tutto ciò che ci occorre è in qualche modo racchiuso in un solo pianeta: è semplicemente diverso.

Piccoli grandi brividi

Altra cosa che contraddistingue il DLC di Outer Wilds dal gioco madre è il clima che avvolge la narrazione, dai toni decisamente horror. Il DLC stesso sembra avvisarci di ciò, chiedendo al videogiocatore se desideri ridurre l’impatto emotivo del gioco. Certo, anche nell’avventura principale non è mancato qualche momento di terrore – il primo approccio con Rovo Oscuro e le sue gigantesche rane pescatrici è traumatico un po’ per tutti -, ma in Echoes of the Eye tutto ciò che ci circonda riesce a mantenerci in un costante stato di allerta: la musica, gli inquietanti ritratti di famiglia degli Owlk, le loro grida silenziose che percepiamo dalle diapositive, il buio in cui si è immersi quando si esplora la riproduzione onirica del loro pianeta natale… Il clima palpabile di tensione e mistero che pervade l’esplorazione porta il videogiocatore a percepire una costante sensazione di timore: si ha irrazionalmente paura di questa specie aliena sconosciuta, nonostante da ciò che si sa di loro risultino affatto violenti o aggressivi. Echoes of the Eye riesce a farci sentire in pericolo anche quando non lo siamo, e nonostante la consapevolezza di avere sempre, male che vada, la possibilità di ritornare al punto di partenza grazie al loop temporale: ciò potrebbe risultare destabilizzante per le persone particolarmente ansiose, ma è sicuramente la ciliegina sulla torta per gli amanti del genere horror.

La paura dell’ignoto

Outer Wilds risponde a tutte le domande che ci siamo posti nel corso della nostra avventura, lasciando però un piccolo mistero in sospeso, che viene buttato lì, in uno dei tanti scritti nomai in cui ci imbattiamo durante il nostro viaggio: perché l’Occhio dell’Universo ha smesso di mandare il suo segnale? La risposta a questa domanda arriva in Echoes of the Eye, creando un collegamento con il gioco madre, tra Lo Straniero e i nomai, tra il passato e il presente. Ma, soprattutto, tra questi misteriosi alieni e noi stessi: perché ciò che hanno fatto è stato spinto dalla stessa paura primordiale che ha scosso i nostri animi nel corso dell’esperienza di gioco, e non solo. Giudicare negativamente gli Owlk, guardando alla narrazione con occhio esterno, è piuttosto semplice, ma il peso morale delle loro azioni risulta decisamente più ambiguo se si riflette su quanto simili agli esseri umani risultino essere. Il Prigioniero, colui che si è ribellato alla decisione di cercare di occultare qualsiasi prova dell’esistenza dell’Occhio, non è comunque riuscito a darsi pace, a trovare il coraggio di porre fine a quello stato di segregazione nel quale era costretto a vivere, finché non ha avuto la certezza che le proprie azioni abbiano avuto un senso. Le sue catene si sono sciolte solo dopo aver appreso il proprio ruolo; la consapevolezza di quanto un suo piccolo gesto compiuto nel passato abbia scatenato un effetto a farfalla fondamentale per la costruzione del presente gli ha donato un senso di pace, proprio come accade al videogiocatore nel corso delle sequenze finali di Outer Wilds. Rimane ancora una domanda aperta: cosa sarebbe accaduto se il Prigioniero non avesse consentito ai nomai di percepire il segnale dell’Occhio? L’universo sarebbe giunto alla sua fine senza possibilità di rinascita o anche quella fa parte dell’inevitabile processo dello scorrere del tempo? La risposta a questa domanda non sembra essere così fondamentale: è più importante la rassicurante idea di aver agito per uno scopo.

Echoes of the Eye: quando giocarlo?

Per rimanere in tema di domande senza risposta, un quesito che divide i videogiocatori è: quando è il momento più giusto per intraprendere l’esplorazione introdotta in Echoes of the Eye? Come di consueto nell’universo di Outer Wilds, il gioco non impone un ordine preciso: l’inizio del DLC combacia con quello dell’avventura principale e all’interno di esso non vi è quasi nulla che riveli qualcosa dei misteri principali di cui i nomai fanno da protagonisti – come la Luna Quantica o il Progetto Gemello Cenere. Ciò che, però, fa sì che non sia un’ottima idea seguire la narrazione del DLC in contemporanea a quella del gioco madre è la sua complessità: come abbiamo detto, Echoes of the Eye fa affidamento a modalità di raccolta di indizi completamente diverse, e inoltre la vastità dello Straniero e il fatto che tutta la narrazione si svolga lì fa sì che percorrere queste due avventure in contemporanea possa risultare piuttosto dispersivo. A detta della maggior parte dei videogiocatori, è meglio accantonare questa idea e approcciarsi al DLC dopo aver concluso la storia principale: in questo modo si eviteranno anche i più piccoli spoiler, come ad esempio la consapevolezza del potere distruttivo dell’Occhio dell’Universo – che nel gioco madre viene appresa solo nel finale. Altra opzione, se si desidera far intersecare in maniera più continua i due percorsi, è quella di addentrarsi nei misteri del DLC appena prima del finale del gioco madre (quindi prima del viaggio sull’Occhio dell’universo): in questo modo, viene ridotto l’effetto sorpresa dell’Occhio, ma l’influenza di Echoes of the Eye sulle sequenze finali avrà un maggiore impatto emotivo.  

Fonte immagine in evidenza: poster promozionale di Outer Wilds: Echoes of the Eye

A proposito di Paola Cannatà

Studentessa magistrale presso l'Università degli studi di Napoli "L'Orientale". Le mie più grandi passioni sono i peluche e i film d'animazione Disney, ma adoro anche cinema, serie TV e anime (soprattutto di genere sci-fi), i videogiochi e il buon cibo.

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