Mary Shelley, figlia di Mary Wollstonecraft e William Godwin – nonché compagna e moglie di Percy Shelley -, è l’autrice di Frankenstein, romanzo del 1818 che ha scolpito inevitabilmente la storia del genere gotico. Frankenstein si presenta come un romanzo gotico per linguaggio e atmosfera, ma non possiamo, in realtà, parlare di un romanzo gotico “standard”, bensì di romanzo gotico atipico: non ci troviamo nel Medioevo e non vi è nessun tipo di rovina o castello antico, così come mancano i personaggi stereotipati e la trama amorosa, oltre che la classica dimensione sovrannaturale – insieme quindi a fantasmi, vampiri o quant’altro -, ma abbiamo un unico mostro che non è frutto di un mondo sovrannaturale o leggendario, bensì dell’intelletto e della conoscenza dello scienziato; è un mostro che viene creato artificialmente, non secondo le leggi della natura, anzi, sfidandole. La dimensione sovrannaturale, in Frankenstein, è sostituita dalla scienza. Rimane sempre un romanzo gotico, sebbene diverso da tutti gli altri (soprattutto quelli del padre), e la sua originalità sta nel riuscire a rielaborare gli stilemi del romanzo gotico in modo originale, limitandoli. È dunque importante (nonché curioso) chiedersi quali siano le influenze letterarie di Frankenstein, che affondano le loro radici nel mito e nella letteratura inglese più classica.
Le influenze letterarie di Frankenstein: dal mito alla letteratura
La prima delle influenze letterarie di Frankenstein è da ricollegare al famoso Mito di Prometeo. Innanzitutto, il sottotitolo del romanzo stesso è The Modern Prometeus (o il Moderno Prometeo).
Prometeo è un titano ribelle che ruba il fuoco a Zeus per donarlo agli uomini, e le conseguenze di questo gesto porteranno Prometeo ad essere legato ad una rupe mentre i corvi divorano il suo fegato, organo che si rigenera e pertanto destinato alla sofferenza eterna. Il Mito di Prometeo era abbastanza conosciuto, e anche Lord Byron ne aveva scritto un canto, Prometheus. Ciò che aveva attratto i due autori erano due aspetti della storia:
-La ribellione contro gli Dei;
-Il desiderio di Prometeo di diventare il benefattore dell’umanità: il suo gesto di ribellione verso Zeus era motivato dal fatto che voleva consegnare il fuoco agli uomini, diventando così l’iniziatore delle arti.
Il Frankenstein di Shelley non si rifà però alla versione più famosa del mito, ma alla versione latina di Ovidio (la cui opera principale è Le Metamorfosi): secondo questa versione Prometeo è un ribelle che crea l’uomo impastando l’argilla, e infonde vita in questa forma di argilla con il fuoco. Risulta dunque evidente il paragone tra Prometeo e il Dott. Frankenstein: entrambi sono creatori di esseri viventi. Mary, nel suo romanzo, mette in evidenza l’aspetto scientifico del “ribelle”: Frankenstein è uno scienziato che assembla parti di cadaveri per creare questo nuovo essere vivente e donargli vita attraverso le applicazioni del principio di Galvani. La riflessione di Mary è, più che altro, sui miti della scienza: fino a che punto la scienza può arrivare? Dove può essere messo un limite che non significa andare verso il proibito? Insomma, la conoscenza umana fin dove si può estendere? Questo risulta un quesito abbastanza intrigante, specie in questo periodo che è di grande fermento scientifico, caratterizzato da un lato dall’esaltazione del progresso e dall’altro dall’inquietudine per le possibili conseguenze di quest’ultimo e la possibile perdita del controllo.
Un altro mito da annoverare, quando parliamo delle influenze letterarie di Frankenstein, è quello di Pigmalione e Galatea, tratto dal X libro della Metamorfosi di Ovidio. Esso narra delle vicende di Pigmalione, scultore dell’isola di Cipro che ha plasmato una figura di donna perfetta, la cui bellezza è tale da causare l’innamoramento del suo scultore. Pertanto, interviene la Dea dell’amore che animerà la statua. Viene creata così Galatea, caratterizzata da una purezza e da un’innocenza che verranno sconvolte nel momento in cui la “neonata donna” entra in contatto con il mondo che la circonda.
L’influenza di Rousseau e i testi formativi di Mary Shelley
Discostandosi per un attimo dalle influenze letterarie di Frankenstein, è chiaro nel testo il richiamo a Jean-Jacques Rousseau, filosofo e scrittore svizzero che ha influenzato dall’alto l’invenzione letteraria di Mary Shelley.
La creatura di Frankenstein, in un certo senso, presenta le stesse caratteristiche del Buon selvaggio di cui parlava Rousseau: nel momento in cui viene al mondo è buono, ma a causa delle esperienze negative (il rifiuto del padre e il rifiuto della società) si trasforma in un essere rivolto al male. Il potenziale benefico della creatura viene distrutto dopo essere stato rifiutato, maltrattato e frainteso dalla società.
Sebbene l’idea del mostro si possa ricollegare al Buon selvaggio, vi sono comunque delle incongruenze: Rousseau diceva che il Buon selvaggio è quello che si trova allo stato di natura, mentre il mostro creato dal dottore è nato contro natura. Non è frutto di un processo naturale di creazione, di un processo comune a tutti gli uomini, ma è frutto dell’ambizione smisurata del Dott. Frankenstein: egli è un mostro avvelenato dalla cultura.
L’influenza di Rousseau è presente anche in Political Justice di Godwin (che viene citato anche nella dedica del libro di Shelley), secondo il quale istituzioni come la legge, il governo e il matrimonio tendono ad insinuare pratiche dispotiche nella vita delle persone, e propone un nuovo sistema basato sulla benevolenza universale, ovvero una società dominata dalla virtù che può essere esercitata attraverso la ragione e il libero arbitrio.
Oltre che da Rousseau, Godwin (e di conseguenza Mary) si vede influenzato anche da John Locke, autore letto anche dalla figlia durante la stesura della prima versione del romanzo. Mary si interessò particolarmente ad un saggio, Essay Concerning Human Understanding, il cui pensiero è rintracciabile nel momento della creazione: il mostro nasce senza conoscere niente del mondo, e dunque il suo intelletto, come suggerisce Locke, è una tabula rasa: non c’è nulla e non conosce alcuna nozione, poiché le nozioni vengono impartite dall’esperienza. Il mostro, quindi, quando “nasce” non conosce, non percepisce rumori, non sa come procacciarsi il cibo, ed in effetti ci rendiamo conto che è solo dopo essersi scottato con i carboni ardenti che inizia a progredire e solo origliando una famiglia del posto impara a parlare la lingua.
Infine, l’educazione Mary Shelley è segnata anche dalla lettura di altri testi che troverà per caso: I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe, Paradise Lost di John Milton e Vite Parallele di Plutarco, sicuramente citabili tra le influenze letterarie di Frankenstein. Paradise Lost di Milton, oltre a rappresentare la creatura stessa, apre e chiude il romanzo, le cui citazioni sono presenti rispettivamente nel frontespizio e nella conclusione.
Ad appartenere all’epigrafe, è la frase «Ti ho chiesto io, creatore, di crearmi uomo dall’argilla? Ti ho chiesto io di promuovermi dall’oscurità?». Queste parole, nel Paradise Lost, vengono pronunciate da Adamo nel momento in cui rimprovera Dio chiedendogli perché lo avesse creato. Questi versi forniscono un’importante chiave di lettura al libro, poiché associano la creatura ad Adamo, con cui ha chiari tratti in comune:
- Entrambi sono unici;
- Entrambi sono condotti verso il peccato da una serie di eventi incontrollabili.
Ma la creatura non è paragonabile ad Adamo: essa è mostruosa, e quindi si lega non con Adamo, ma con Satana. La vita stessa della creatura è paragonabile a Satana (che è un angelo che si è ribellato a Dio), e così come Satana, il mostro perde la sua benevolenza e diventa un ripudiato, un emarginato, un caduto. Infatti, le ultime parole della creatura sono tratte dal Paradise Lost: «L’angelo caduto diventa un demone maligno, eppure persino il nemico di Dio e dell’uomo aveva degli amici e della compagnia nella sua desolazione. Sono solo». Quello che sottolinea la creatura è che perfino Satana ha dei compagni, mentre lui non può fare affidamento su nessuno. È solo al mondo, senza un’anima che gli stia accanto. Allo stesso tempo, non ha neanche un partner come lo ha invece Adamo. La creatura, infatti, chiede a Frankenstein di creargli una compagna ma lo scienziato, sebbene allettato dall’idea che una compagna potesse placare la rabbia del mostro, si tira poi indietro spaventato da una progenie orrenda e spaventosa.
Il tema della solitudine è un tema dominante all’interno del romanticismo, e in questo senso il mostro di Frankenstein diventa il simbolo dell’isolamento dell’individuo all’interno della società.
Mary era stata inoltre ispirata da tre romanzi gotici del padre, William Godwin, in particolare da Caleb Williams, il quale ebbe un particolare riscontro tra le influenze letterarie di Frankenstein, soprattutto per quanto riguarda la tematica dell’eroe perseguitato. Nel romanzo, Caleb Williams è un impiegato che perseguita il suo datore di lavoro perché è venuto a conoscenza di un antico delitto da questi compiuto. A sua volta, il datore di lavoro perseguita Caleb perché vuole evitare che lui possa raccontare il suo segreto. La tematica della persecuzione la ritroviamo anche nel Frankenstein in più forme: sappiamo che il mostro è perseguitato dagli uomini per la sua apparenza fisica, a sua volta egli stesso perseguita il genere umano, il suo creatore e la sua famiglia, e ancora il dottor Frankenstein perseguita la creatura. Il mostro e il dottore si perseguitano quindi a vicenda, e arriveranno ad un destino comune: la morte.
Un’altra fonte da citare tra le influenze letterarie di Frankenstein è Le rime dell’antico marinaio di Samuel Taylor Coleridge, lettura alla quale la piccola Mary assisté, a casa del padre, ad opera dello stesso scrittore. Proprio per questo, viene citato come ispirazione del personaggio di Walton nella prefazione del libro. L’opera di Coleridge parla della vita di un marinaio in viaggio su una nave che uccide un albatros. Questo gesto rappresenta la rottura di quell’armonia esistente tra l’uomo e la natura, e verrà punito vivendo una sorta di vita nella morte: deve sopportare il peso della colpa per il resto della sua vita e deve viaggiare e raccontare la sua storia a chiunque incontri sperando che così possa insegnare agli altri il rispetto per le creature di Dio.
Questa ballata – tratta dalla raccolta Lyrical ballads di William Wordsworth e Coleridge stesso – si rifà ad una serie di componimenti anglosassoni che possono essere interpretati dal punto di vista religioso ed artistico: dal punto di vista religioso dal pentimento si arriva alla salvazione, mentre dal punto di vista artistico può essere interpretato come un artista che lascia il suo mondo abituale alla ricerca della scoperta, e riesce a salvarsi dal dolore della vita attraverso il potere dell’immaginazione.
Walton è un esploratore che apre il racconto, e nelle lettere scritte alla sorella si paragona al marinaio dicendo che proprio come lui, si accinge a partire verso regioni inesplorate nella terra della nebbia e della neve, e rassicura la sorella dicendo che seppur somigliandogli non ucciderà nessun albatros. A compiere il peccato sarà infatti Frankenstein, che romperà l’armonia tra uomo e natura nel momento in cui creerà questo mostro e verrà trafitto dal senso di colpa. La storia verrà narrata a Walton dal dottore stesso, che lo ritrova al Polo Nord e gli diventa amico.
Walton racconta a Frankenstein di essere disposto a sacrificare qualsiasi cosa pur di raggiungere il suo obiettivo, persino la sua vita e il suo equipaggio, ma verrà messo in guardia da Frankenstein non appena questi si rende conto che il suo amico sta per compiere il suo stesso errore: dare più peso alla propria ambizione che all’umanità. I due si assomigliano, poiché discendono entrambi dalla stirpe del Prometeo e dell’Ulisse Dantesco e vanno oltre ciò che è il proibito. Ma allo stesso tempo si differenziano per il fatto che Frankenstein è già dannato, mentre Walton può ancora salvarsi, e per aiutarlo racconta la propria storia affinché gli possa essere da esempio: Walton deve imparare dagli errori di Frankenstein, e rappresenta un alter-ego innocente del dottore che, dopo aver raccontato la sua storia, convince l’esploratore ad abbandonare la sua impresa salvando la propria vita e quella della sua ciurma.
In conclusione, le influenze letterarie di Frankenstein sono molteplici, e vanno a costruire un intricato tessuto di storie, teorie e rimandi chiaramente identificabili e ricollegabili a quelle che sono state le più grande influenze (a livello testuale) di una delle più importanti autrici della storia dell’Ottocento.
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