Ogni italiano in media ogni anno consuma oltre 30 chili di pane, quantità piccola rispetto al resto d’Europa (per esempio in Germania sono 55 e in Polonia 70), ma comunque ragguardevole. Purtroppo per i consumatori non è possibile stabilirne l’origine: la legge non obbliga ad indicare se sia fresco, prodotto in giornata da un panificio, congelato o semilavorato, prodotto in stabilimenti industriali esteri e importato in Italia, con un guadagno ovviamente superiore e un danneggiamento delle attività locali. Ad esempio solamente la Sardegna importa ogni giorno 300 quintali di impasti congelati. C’è da sottolineare che nello stesso arco di tempo in cui l’importazione di questi prodotti è raddoppiata, il numero di panifici in attività invece si è dimezzato.
Pane congelato o fresco: in attesa di una legge dal 2006
Attualmente non esiste una normativa che regoli il settore della panificazione (sebbene ne sia prevista dal 2006 la stesura), rendendo perfettamente legale rivendere pane congelato o semilavorato come fresco: infatti la legge n. 248 del 4 agosto 2006 prevedeva la regolamentazione della sua produzione entro un anno dall’emanazione della legge, cosa a conti fatti mai avvenuta.
Nove anni dopo, ad ottobre 2015, il deputato PD Giuseppe Romanini ha presentato un disegno di legge che prevede la definizione di pane e panificio, la distinzione tra pane fresco e congelato e l’obbligo di indicarne la tipologia, pena la sospensione della licenza e la chiusura dell’attività nei casi più gravi di violazione della norma. Ma il testo è fermo in Commissione Agricoltura, mentre il Ministero dello Sviluppo Economico, per ovviare al problema, dopo la conferenza Stato-Regioni di settembre nella quale se ne è discusso, ha messo in atto la legge 248, emanando un decreto che distingue il pane fresco da quello “a durabilità prolungata”. Questo significa che viene trattato con una procedura che prevede interruzioni della lavorazione come congelamento e surgelamento.
Ma questa non può essere considerata come una soluzione, difatti il decreto è ancora in attesa di vaglio dell’Unione Europea, indispensabile per l’entrata in vigore (si veda “Il Venerdì” n. 1470). Nel frattempo, alcune regioni stanno cercando di rimediare legiferando autonomamente, possibilità alla quale sono già ricorse Sardegna, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, nel tentativo di proteggere le attività economiche locali dalla concorrenza “sleale”, dovuta al minor costo del pane congelato rispetto a quello fresco.
Francesco Di Nucci