Il razzismo ambientale è una forma sistemica di ingiustizia sociale che espone in modo sproporzionato le comunità minoritarie e a basso reddito ai rischi derivanti da inquinamento, rifiuti tossici e degrado ambientale. Questo fenomeno lega indissolubilmente la disparità sociale e la discriminazione razziale alla crisi ecologica.
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Le origini del termine e il ruolo di Benjamin Chavis
L’espressione “razzismo ambientale” è stata coniata nel 1982 da Benjamin Chavis, leader dei diritti civili afroamericano. Chavis utilizzò questo termine durante le proteste contro la creazione di una discarica di PCB (policlorobifenili) tossici a Warren County, una contea a maggioranza afroamericana della Carolina del Nord. Il concetto si basa sul fatto che le decisioni prese da istituzioni governative e aziende riguardo alla progettazione dell’ambiente (dove localizzare discariche, inceneritori, raffinerie) sono spesso influenzate da pregiudizi razziali, con un impatto devastante sulla salute e sul diritto alla vita delle comunità colpite.
Studi documentati, come quelli condotti dalla Environmental Protection Agency (EPA) statunitense, provano che le comunità di colore sono esposte a livelli di inquinamento atmosferico significativamente più alti. Questo si traduce in tassi più elevati di malattie respiratorie, cancro e altre patologie croniche, oltre che in un contesto sociale di povertà e criminalità.
Esempi di razzismo ambientale nel mondo
Il fenomeno è globale e si manifesta in forme diverse, dalle periferie industriali degli Stati Uniti alle aree sfruttate del Sud del mondo.
Area geografica | Caso emblematico |
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Stati Uniti | La “Cancer Alley” in Louisiana, un corridoio industriale lungo il Mississippi dove le comunità prevalentemente afroamericane vivono accanto a oltre 150 impianti petrolchimici con tassi di cancro altissimi. |
Nigeria (Delta del Niger) | Come documentato da Amnesty International, le continue fuoriuscite di petrolio da oleodotti di multinazionali come la Shell hanno devastato l’ecosistema e la salute delle comunità Ogoni. |
Italia (Taranto) | Il quartiere Tamburi, a ridosso del polo siderurgico ex-ILVA, ha registrato per decenni tassi di mortalità e malattie tumorali, specialmente infantili, superiori alla media nazionale. |
Il razzismo ambientale in Italia: il caso di Taranto
Anche in Italia esistono “zone di sacrificio” dove la logica del profitto prevale sulla salute dei cittadini. Il caso più noto è quello del rione Tamburi di Taranto, costruito a ridosso del più grande polo siderurgico d’Europa. Come evidenziato da numerosi rapporti, tra cui quelli dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), la popolazione di quest’area a forte composizione operaia e a basso reddito è stata esposta per decenni a emissioni inquinanti che hanno causato un drammatico aumento di patologie gravi. Altri esempi includono la Terra dei Fuochi in Campania e le aree industriali di Gela e Augusta in Sicilia.
La lotta per la giustizia ambientale
In risposta a queste disuguaglianze, sono nati i movimenti per la giustizia ambientale. Questi gruppi, spesso guidati da attivisti delle comunità colpite, lottano per una distribuzione equa dei benefici e degli oneri ambientali, indipendentemente da etnia o classe sociale. La loro agenda va oltre la salvaguardia della natura, intrecciando la lotta ecologica con quella per i diritti umani e la giustizia sociale. Negli ultimi anni, la cooperazione tra movimenti ambientalisti “mainstream” e movimenti per la giustizia sociale si è rafforzata, riconoscendo che la crisi climatica e l’inquinamento sono anche una questione di equità. Come sottolineato dallo United Nations Environment Programme (UNEP), senza giustizia ambientale non può esserci uno sviluppo sostenibile per tutti.
Fonte immagine: Pixabay
Articolo aggiornato il: 08/10/2025