Nella nostra penisola, accanto all’italiano standard, vive un patrimonio linguistico di inestimabile valore: le sue varietà regionali, note come dialetti italiani. Spesso considerati erroneamente “versioni sbagliate” dell’italiano, i dialetti sono in realtà sistemi linguistici autonomi, con una propria grammatica, un lessico e una storia, evolutisi direttamente dal latino, proprio come l’italiano stesso.
Linguisticamente, si possono distinguere due concetti di “dialetto”: da un lato, indica la varietà di una lingua parlata in una specifica area geografica; dall’altro, descrive un sistema linguistico completo che non ha raggiunto lo status di lingua ufficiale per ragioni storiche e politiche, pur possedendo una propria dignità letteraria e culturale.
Indice dei contenuti
- 1. Origine dei dialetti italiani: dal latino volgare
- 2. Classificazione e mappa dei dialetti italiani
- 3. Il ruolo del toscano e la nascita dell’italiano
- 4. Lingue minoritarie e dialetti con status autonomo
- 5. Caratteristiche grammaticali dei principali gruppi
- 6. Domande frequenti sui dialetti italiani
Origine dei dialetti italiani: dal latino volgare
Come è noto l’italiano, il francese, lo spagnolo e tutte le lingue romanze derivano dal latino. Non però il latino letterario di Cicerone e Tacito, quello indicato come classico, ma quello parlato dalle popolazioni dell’Europa occidentale assoggettate dai Romani. Nei territori conquistati dall’Impero veniva infatti imposta la lingua latina, la quale si mescolava con le parlate locali (il cosiddetto “sostrato”). Il risultato che venne fuori era il latino volgare (da volgus, popolo. Quindi latino parlato dal popolo), che variava da regione a regione.
Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476 d.C. e la formazione dei regni romano-barbarici, il latino perse la propria unità e accelerò il proprio processo di frammentazione. La stessa cosa avvenne anche in Italia, dove il latino volgare delle diverse aree dette vita non solo alla lingua italiana (basata su una sua specifica varietà) ma anche a tutti i dialetti italiani, che sono quindi “fratelli” dell’italiano, non suoi “figli”.
Classificazione e mappa dei dialetti italiani
I dialetti italiani vengono classificati dai linguisti in base a precise caratteristiche fonetiche e morfologiche. La suddivisione principale si basa su due importanti linee immaginarie, chiamate isoglosse, che attraversano la penisola:
- La linea La Spezia–Rimini (o Massa-Senigallia), che separa i dialetti settentrionali da quelli centro-meridionali.
- La linea Roma–Ancona, che suddivide ulteriormente l’area centrale da quella meridionale.
Questa suddivisione ci permette di identificare tre grandi gruppi principali:
Dialetti settentrionali
Parlati a nord della linea La Spezia–Rimini, presentano influenze celtiche e germaniche. Si dividono in due sottogruppi:
- Gallo-italici: comprendono il piemontese, il lombardo, il ligure e l’emiliano-romagnolo.
- Veneti: comprendono il veneziano (e le sue varianti lagunari), il veronese, il vicentino-padovano, il trevigiano e il triestino.
Dialetti toscani
Parlati in Toscana, rappresentano un gruppo a sé stante per la loro vicinanza al latino e per il loro ruolo storico. Comprendono il fiorentino, il senese, il pisano-lucchese e l’aretino.
Dialetti centro-meridionali
Parlati a sud della linea La Spezia-Rimini, si dividono in tre sottogruppi:
- Mediani: parlati in Umbria, Marche centrali, Lazio (incluso il romanesco) e nell’area aquilana.
- Meridionali intermedi (o alto-meridionali): comprendono l’abruzzese, il molisano, il campano (tra cui il napoletano), il pugliese (escluso il Salento), il lucano e il calabrese settentrionale.
- Meridionali estremi: includono il salentino, il calabrese meridionale e il siciliano.
Il ruolo del toscano e la nascita dell’italiano
Una menzione speciale merita il fiorentino del Trecento. Grazie al prestigio letterario di autori come Dante, Petrarca e Boccaccio (le “tre corone“), questa specifica parlata toscana divenne il modello per la lingua scritta in tutta la penisola. Ciò diede origine alla “questione della lingua“, un dibattito secolare su quale dovesse essere la lingua nazionale, teorizzato da Dante nel De Vulgari Eloquentia, formalizzato nel Cinquecento dalle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo e risolto di fatto solo dopo l’Unità d’Italia, anche grazie al modello linguistico proposto da Alessandro Manzoni ne “I Promessi Sposi”.
Lingue minoritarie e dialetti con status autonomo
È importante non confondere i dialetti italo-romanzi con le lingue minoritarie parlate in Italia, tutelate dalla Legge 482/1999. Queste sono lingue che hanno un’origine diversa da quella del latino parlato in Italia. Tra queste troviamo:
- Sistemi romanzo-alpini: il franco-provenzale (Valle d’Aosta), l’occitano (valli piemontesi) e il ladino (area dolomitica).
- Sistemi non-romanzi: il tedesco (Alto Adige), lo sloveno (Friuli-Venezia Giulia), l’albanese (comunità Arbëreshë del Sud Italia), il greco (Griko in Salento e Calabria), il croato (Molise).
- Lingue romanze con status speciale: il sardo e il friulano, considerati lingue a sé stanti per le loro peculiarità, e il catalano ad Alghero.
Gruppo dialettale | Esempi e area geografica |
---|---|
Settentrionali | Piemontese, lombardo, ligure, veneto (Nord Italia). |
Toscani | Fiorentino, senese, pisano (Toscana). Base della lingua italiana. |
Centro-Meridionali | Romanesco, napoletano, siciliano, pugliese (Centro e Sud Italia). |
Caratteristiche grammaticali dei principali gruppi
Dialetti settentrionali
Per quanto riguarda la fonetica, notiamo una massiccia presenza dell’apocope (la caduta delle vocali finali diverse da -a), l’assenza di consonanti doppie e la lenizione delle consonanti intervocaliche sorde (savèr da SAPERE). Morfologicamente è tipico l’uso obbligatorio del pronome clitico soggetto prima del verbo (milanese: ti te manget, “tu mangi”).
Dialetti toscani
Foneticamente è comune il fenomeno della gorgia toscana, l’aspirazione delle consonanti occlusive sorde /k/, /t/ e /p/ tra due vocali (la hasa per “la casa”). Per la morfologia, è diffuso l’uso dell’articolo determinativo davanti ai nomi propri femminili (ho visto la Giulia) e l’uso del pronome te al posto di tu come soggetto (te che fai?).
Dialetti centro-meridionali
Nel maggior parte dei dialetti di questo gruppo è presente il fenomeno fonetico della metafonesi, cioè l’alterazione della vocale tonica per effetto della vocale finale (il napoletano niru, “nero”, ma nera, “nera”). Altri fenomeni sono l’assimilazione progressiva dei nessi -ND- in -nn- e -MB- in -mm- (munno per “mondo”, gamma per “gamba”) e il raddoppiamento fonosintattico (a tte per “a te”). A livello sintattico è comune l’accusativo preposizionale (ho visto a Maria).
Domande frequenti sui dialetti italiani
Qual è la differenza tra lingua e dialetto?
Dal punto di vista puramente linguistico, non c’è differenza: entrambi sono sistemi di comunicazione completi. La distinzione è socio-politica: una “lingua” è un dialetto che ha raggiunto uno status ufficiale (usato nel governo, nell’istruzione, etc.), come il fiorentino. I “dialetti” sono sistemi che non hanno avuto lo stesso riconoscimento.
Quali sono i dialetti italiani più diffusi?
Tra i più parlati e conosciuti ci sono il napoletano, il siciliano, il veneto e il lombardo, grazie anche alla loro forte tradizione culturale, teatrale e musicale.
Qual è il dialetto più difficile da capire per un italiano?
La difficoltà è soggettiva. Tuttavia, il sardo, i dialetti ladini e alcuni dialetti gallo-italici sono spesso considerati tra i più ostici per chi parla italiano standard, a causa delle loro notevoli differenze fonetiche e grammaticali.
Perché si dice “latino volgare”?
Il termine “volgare” non ha un’accezione negativa. Deriva dal latino vulgaris, che significa “del popolo, comune”. Si riferisce semplicemente alla lingua parlata quotidianamente dalla gente, in opposizione al latino classico usato nella letteratura e nei documenti ufficiali.
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Ultimo aggiornamento: 23 agosto 2025