Inja bungaku: la letteratura degli eremiti

Inja bungaku: la letteratura degli eremiti

La letteratura degli eremiti ha trovato la sua importanza in diversi contesti storici e culturali di vari paesi. In particolare in Giappone questo tipo di poetica si è sviluppata attraverso gli Inja bungaku, ovvero dei testi letterari che trovano fondamento da dottrine buddiste e taoiste, ma che soprattutto trovano terreno fertile nel contesto nel quale nascono. Ci troviamo infatti, in un periodo in cui il Giappone è dilaniato dalle guerre civili e come spesso accade in queste condizioni di forte crisi sociale il popolo necessità una via di fuga, di uno strumento di conforto che in questo caso arriva dalla dottrina buddista.

Inja bungaku e buddismo

In particolare il nuovo buddismo del periodo Kamakura si sviluppa in due concetti chiave: quello del Mappo, ovvero la fine del Dharma e quello del Mujoka che indica invece l’evanescenza della vita e la sua fugacità. Queste sono le chiavi di letteratura degli Inja bungaku di questo periodo che si articolano proprio su questi due criteri principali, insieme alla filosofia taoista. Gli autori principali di questo nuovo tipo di letteratura sono Kamo no Chomei e Kenko Hoshi, due figure che si approcciano a questi concetti in maniera diversa.

Kamo no Chomei e Kenko Hoshi

L’autore nella sua opera esprime tutto il pessimismo del periodo narrando la cruda realtà della pestilenza e della carestia riprendendo i concetti di Mappo e Mujoka del nuovo buddismo. In particolare nell’Hojoki il testo si divide in due metà: nella prima vengono elencate 5 tragedie e nella seconda il focus si sposta sulla vita da eremita alla quale lo stesso Kamo no Chomei si era dedicato. Il poeta infatti, aveva atteso tutta la vita sperando di succedere suo padre nel mestiere di oratore, quando poi però il compito verrà assegnato ad altri lui, preso da grande angoscia, si ritirerà dalla vita pubblica, ed è ciò che racconta all’interno di questo Inja bungaku.

Kenko Hoshi è invece autore del Tsurezuregusa, anche conosciuto come ore d’ozio. L’opera è un zuihitsu ovvero un testo nel quale vengono raccolti appunti di vario tipo apparentemente slegati tra loro, ciò che è interessante notare è il completo distacco rispetto all’approccio del suo collega. Kenko Hoshi infatti, nella sua letteratura dell’Inja bungaku interpreta i concetti di Mappo e Mujoka in maniera molto positiva. Egli vede nella fugacità della vita la bellezza stessa della vita, così come vede nella imprevedibilità della morte l’occasione di cogliere il momento, il cosiddetto carpe diem. All’interno degli Inja bungaku, come quello di Kenko Hoshi, spesso emerge anche una leggera critica al confucianesimo, ed è in questo caso che si può intravedere l’approccio taoista, le due filosofie infatti entrano parecchio in contrasto tra loro presentando visioni della vita e della società molto diverse: per il confucianesimo infatti la conoscenza deriva da un esercizio di logica e razionalità che il taoismo abbandona e denigra completamente. È proprio su questo punto che Kenko Hoshi si focalizza: secondo lui lo studio è fuorviante e la vera saggezza si raggiunge con una via più naturale e soprattutto più semplice.

Fonte immagine in evidenza: Pixabay

A proposito di Serena Uvale

Studentessa presso l'università degli studi di Napoli "L'Orientale", amante della culturale e della lingua cinese.

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