Poco più di 80 anni fa moriva a soli 22 anni il poeta ceco Jiří Orten, pseudonimo di Jiří Ohrenstein. Il suo canto melanconico ma mai melenso è purtroppo quasi sconosciuto in Italia. Nel lontano 1969 è uscita una raccolta di versi edita da Einaudi, ormai quasi introvabile. Altrettanto rara è l’edizione Mondadori delle sue poesie e di parte dei suoi diari, uscita nel 1991.
Di chi sono?
Di chi sono? Così si intitola una delle liriche più famose di Jiří Orten. Dare una risposta univoca è più difficile di quando possa sembrare. Jiří Ohrenstein nasce a Kutná Hora nel 1919, al centro dell’allora neonata Repubblica Cecoslovacca. I genitori Eduard e Berta Ohrenstein erano proprietari di un piccola merceria della cittadina.
Si trattava di un periodo di transizione, una nazione cecoslovacca non era mai esistita fino a quel momento e l’identità cecoslovacca si andava formando secondo il principio di nazionalità wilsoniana. La Cecoslovacchia rimaneva una nazione multiculturale. Tra le altre vi era una forte presenza di tedeschi sul territorio della repubblica e ciò portò nel 1938 Adolf Hitler ad avanzare pretese sui territori dei Sudeti, allora appartenuti alla Cecoslovacchia, mascherando la sua sete di potere sotto la folle idea di Lebensraum. È proprio nel periodo che va dalla Conferenza di Monaco alla sua tragica morte che il giovane Jiří scrive le poesie più riuscite e le scriverà sotto lo pseudonimo di Jiří Orten.
Il Di chi sono? di Jiří Orten però non sembra soprattutto focalizzato su questioni etniche o nazionali, quanto piuttosto su sé stesso.
Di chi sono?
Io sono dei piovaschi e delle siepi
e delle erbe chinate dalla pioggia
e della chiara canzone che non gorgheggia,
del desiderio che sta chiuso in lei.
Di chi sono?
Io sono di ogni piccola cosa smussata
che mai spigoli ha conosciuto,
dei piccoli animali che reclinano la testa,
sono della nuvola quando è straziata.
Di chi sono?
Io sono del timore che mi ha tenuto
con le sue trasparenti dita,
del coniglietto che in un giardino in penombra
esercita il suo fiuto.
Di chi sono?
Io sono dell’inverno ostile ai frutti
e della morte, se il tempo lo chieda,
io sono dell’amore, di cui sbaglio la porta,
al posto di una mela ai vermi lasciato in preda.
(Traduzione di Giovanni Giudici e Vladimír Mikeš)
Trovarsi in sintonia col mondo che ci circonda in un periodo così pieno di insicurezze, in cui il giovane Jiří Orten si nascondeva dalle autorità naziste, era difficilissimo. Meglio pensare di essere creato da qualcosa di più rassicurante, meglio essere “di ogni piccola cosa smussata, che mai spigoli ha conosciuto“. Le poesie di Jiří Orten però non rassicurano mai del tutto. Così come i suoi pensieri affidati ai tre diari Blu, Striato e Rosso. Nemmeno la poesia, grande aspirazione del giovane scrittore, sembra poi consolarlo tanto.
La cosa chiamata poesia
La cosa chiamata poesia
quella vorresti fare?
In solitudine singhiozzare
e tanto volere bene
Senti? È il suo ticchettio
Cosí disperato giocare
La cosa chiamata poesia
quella vorresti fare?
Forse lo sai che spesso
la parola è troppo sciocca
ma Dio ti chiude la bocca
e altro non ti può dare
La cosa chiamata poesia
quella vorresti fare?
(Traduzione di Giovanni Giudici e Vladimír Mikeš)
La morte misteriosa di Jiří Orten
Le sue ambizioni di grande poeta si scontrano però con una realtà feroce e con la sua personalità. Quanta saggezza nella consapevolezza di essere “un Arthur Rimbaud che ha avuto un diverso coraggio“. Jiří Orten ha saputo affrontare la sua difficile realtà, non è scappato altrove e ha trovato purtroppo ben presto la morte.
Il giorno del suo compleanno, il 30 agosto del 1941 venne investito da un’ambulanza tedesca a Praga. Morì il giorno dopo. Probabilmente si trattò solo un incidente, anche se molti sono i ancora i dubbi che legano la tragica fine di Jiří Orten alla sua origine ebraica. Speculazioni che non cambiano il valore dei suoi scritti che in poesia, in prosa e sotto forma di lettera contengono sempre un lirismo che non può lasciarci indifferenti.
Immagine in copertina: Wikipedia