La donna tra pressioni e violenza

La donna tra pressioni e violenza

Questo pomeriggio Serena indossa una camicia che le lascia l’ombelico appena in vista, attraversa la piazza per raggiungere l’amica da poco tornata da una vacanza, mentre viene fischiata da due uomini sulla trentina che le urlano quanto belle siano le sue forme. Chi l’ha vista parecchio infastidita le ha detto di star esagerando e che, anzi, avrebbe dovuto sentirsi lusingata. Perché Serena cammina per le strada di una città in cui la bellezza si misura in apprezzamenti del sesso opposto e vige imperativo il principio secondo cui chiunque può permettersi qualunque cosa per mettere a tacere una vocina che sussurra “che male può fare”.

È stato un mediatore culturale (chi si suppone debba essere voce attenta di un coro che non parla all’unisono) ad assimilare lo stupro ad un normale rapporto dopo i primi momenti di resistenza della donna. Sono stati tanti gli uomini e troppe le donne che hanno chiesto “cosa indossavi?” ad una ragazza violentata per verificare che non fosse stato il suo abbigliamento a provocare quell’uomo che ci si ostina a chiamare così ma che di umanità ha ben poco. Da bestie da ammanettare a povere vittime della donna tentatrice il passo è breve.

La donna tra le mille sfumature del rispetto

L’inesistente distinzione etico-morale tra femmina e donna, la convinzione che basti uno sguardo ammiccante e un apprezzamento per considerare una donna oggetto di proprietà, la disonesta verità che ci si racconta: tanto alla ragazza prima o poi passerà, intanto ci si ride su. Sesso debole, bersaglio facile. Nei giorni scorsi sulla bocca di tutti c’era lo sdegno per l’ultimo (poco spassoso) passatempo di cui si è diffusa notizia dall’altro lato del confine: “pull a pig”, traducendo “inganna un maiale”, in altre parole il gioco in cui vince chi conquista la ragazza più brutta tra tutte, ossia il maiale in questione, per intenderci. La voce giunta fino a noi è quella della giovane inglese Sophie Stevenson, una ventenne cascata nelle dolci bugie di un coetaneo olandese conosciuto in vacanza. Dalla denuncia della ragazza si legge che lo sbruffone l’avrebbe attirata ad Amsterdam, dicendosi desideroso di incontrarla ancora, per poi non presentarsi all’atterraggio della ragazza e lasciare Sophie da sola all’aeroporto, ad aspettare un finto innamorato che non sarebbe mai arrivato e che le avrebbe di lì a poco inviato il messaggio in cui le svelava l’inganno dietro la favola: una scommessa goliardica tra amici, vince chi riesce a portarsi a letto la più grassa e disperata. Una ragazza ridotta a pedina, a puntata vincente. Sophie ha avuto la straordinaria forza di denunciare uno stupido giocatore di uno stupido gioco, un’altra avrebbe potuto non averla. “Pull a pig” è una delle tante etichette apposte sul fenomeno bullismo, una goccia in un mare di allarmi, in cui c’è chi soffre e non tace, accanto a chi tappa la bocca al debole e chi, muto, soccombe.

Il forte è destinato a portare a casa il trofeo: no, non la legge di selezione naturale, ma l’assurda convinzione che basti brillare di luce riflessa per essere considerati stelle. Ogni persona a cui vengono calpestati i piedi e spenti i sogni ogni giorno si graffia e diventa più fragile, ogni persona, certo, ma la donna sta ancora pagando il caro prezzo di una storia passata un passo indietro all’uomo, in silenzio nel silenzio. Per chi è rimasto fermo alla diapositiva della donna a cui sono semplicemente richiesti i capelli in ordine è arrivato il momento di voltare pagina: si apre adesso un capitolo che parla di uguaglianza e rispetto.

“Movimento di rivendicazione dei diritti economici, civili e politici delle donne”, recita l’autorevole enciclopedia Treccani alla voce femminismo. Rivendicare: dunque affermare ed esigere il riconoscimento di qualcosa che si avverte come spettante di diritto. Ecco perché ne abbiamo bisogno. Femminismo è il nome di una guerra fatta di trofei di singole battaglie: dalla prima donna che lascia ago e filo per sedere tra i banchi dell’università fino a quella che non tace quando viene messa all’angolo perché è “solo una donna”. Femminismo non è una scusa per giustificare atteggiamenti politicamente scorretti e condotte guardate con la lente dell’indignazione, non è la scritta da cucire su una felpa rossa né una parola vuota con cui riempirsi la bocca davanti ad una qualunque mancanza di rispetto. Femminismo è la storia di chi non ha confuso la galanteria con la prassi che vede l’uomo dominatore e la donna dominata, di chi sa tenere distinto il complimento dalla molestia, la libertà dall’inciviltà, femminismo è anche la reazione alle infinite sfumature del bullismo e della violenza di genere. La donna non è la costola dell’uomo, come invece romanticamente veniva definita da un cinquecentesco William Shakespeare, la donna non è seconda, non è una bambola di porcellana da guardare e collezionare sullo scaffale. La donna è una persona come lo è un uomo, un essere umano fatto di anima e carne e come tale va guardato e rispettato. Ogni sentimento e opinione va bilanciato con quello degli altri, uomini o donne che siano. La gentilezza non ha genere né sesso, è un valore universale che accarezza il rispetto.

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A proposito di Ilaria Iovinella

Premessa: mai stata di poche parole, eterna nemica dell'odioso "descriviti in tre aggettivi". Dovessi sintetizzarmi, direi che l'ossimoro è una figura retorica che mi veste bene. Studio giurisprudenza alla Federico II, ma no, da grande non voglio fare l'avvocato. Innamorata persa dell'arte e della letteratura, dei dettagli e delle sfumature, con una problematica ossessione per le storie da raccontare. Ho tanto (e quasi sempre) da dire, mi piace mettere a disposizione di chi non ha voce le mie parole. Insomma, mi chiamo Ilaria e sono un'aspirante giornalista, attualmente impacciata sognatrice con i capelli corti.

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