La figura di Shutendoji: dalla letteratura a Go Nagai

La figura di Shutendoji: dalla letteratura a Go Nagai

La figura di Shutendoji viene riscoperta soltanto in epoca Muromachi (1333–1568), shogunato che segna la fase terminale del lungo periodo medievale giapponese. 

Appartiene al genere degli otogizoshi, che esordiscono per la prima volta in forma scritta nel sopracitato periodo Muromachi. Alcune di queste storie erano plausibilmente frutto dell’inventiva di cantori girovaghi, il cui scopo era proporre racconti ricchi di elementi fantastici quanto straordinari, non tralasciando fasi di spannung volte a lasciare col fiato sospeso il pubblico che si apprestava ad ascoltare. 

Molto brevemente, la loro pubblicazione è da rifarsi a Shibukawa Seiemon, un uomo che compie una sperimentazione oltremodo interessante: raccoglie parte di quest’eredità medievale (ben 23 degli otogizoshi pervenuti fino ad allora) e li pubblica in un’edizione a stampa deliziosa, seppur economica. Al momento della pubblicazione, appella questa serie di racconti come otogibunko (“collezione di compagnia”);  da togu “tenere compagnia” e da cui otogi, “colui che tiene compagnia”. In seguito, ricordata anche come otogizoshi, “fascicoli di compagnia”. 

È un termine definito anacronistico, in quanto affibbiato successivamente al periodo effettivo in cui queste prime e controverse narrazioni esordirono per la prima volta. 

Alternano immagini a parti scritte con una struttura narrativa relativamente semplice, con temi al di fuori dal comune: fanciulle stupende e mostri raccapriccianti, con un ammontare di corna e braccia esageratamente spropositati, attanagliando efficacemente la platea che fruiva dell’ascolto di queste storie. Fondono i Monogatari 物語 (“raccontare cose”, “racconti”) di epoca Heian a quelli guerrieri di epoca medievale. 

La figura di Shutendoji si è infine tramandata nei secoli, divenuta  oggetto di studio soltanto “recentemente”, quando questi libretti furono recuperati e concessa loro la giusta considerazione in ambito accademico.  

Ora, presentata questa breve cornice letteraria e storica volta a contestualizzare al meglio questo famigerato personaggio, siamo in grado di poterne individuare le coordinate essenziali in quanto al suo esordio. Ma concretamente, chi è Shutendoji

La figura di Shutendoji: dalla letteratura a Go Nagai 

L’influenza che il nostro protagonista (o “antagonista”) ha rivestito nel folklore giapponese è altrettanto rimarchevole e si è inserito anche nella cultura manga giapponese. Cominciamo con il suo emblematico racconto riportato negli otogizoshi. 

Shutendoji nella letteratura 

Era da un po’ di tempo che diverse fanciulle nel fior dei loro anni, tra i diciassette e i diciotto anni, continuavano a sparire senza lasciar tracce dietro di sé. Erano tutte favolose, con tratti da lasciar innamorare chiunque si spingesse ad ammirarle. Tuttavia, il caso più drammatico fu quello del Secondo Consigliere imperiale Kunitaka, che perse la sua unica figlia di tredici anni. Nonostante la fanciulla fosse sempre tenuta sotto controllo e accompagnata in ogni dove, sparì. 

Fu consultato un indovino, che spiegò al rammaricato padre di un voto diretto a Kannon prima della nascita della bambina che, però, non fu soddisfatto. La punizione si scoprirà essere un fatidico rapimento della fanciulla da parte di un demone, noto per il suo ubriacarsi frequentemente e il suo essere minaccioso. È qui che finalmente esordisce la figura di Shutendoji 酒呑童子. 

Interessante è anche l’accurata scelta di caratteri (kanji, in questo caso) adoperati per la creazione del suo nome: il primo indica il saké, o alcol; il secondo l’azione del bere; il terzo ha la sfumatura di “giovanile, della fase della giovinezza”, mentre l’ultimo significa “bambino”. Potremmo tradurlo come il bambino bevitore di alcol. 

Tornando al racconto, si scopre che il colpevole è un demone (oni in giapponese) che vive sul monte Oe, nella regione di Tanba. 

Al fine di soccorrere la figlia di Kunitaka, si preferisce rispondere all’offesa coinvolgendo 6 dei più grandi samurai in circolazione, tra cui si distingueva Minamoto Yorimitsu (anche conosciuto come Raiko). Tra l’altro, il cognome Minamoto portava con sé un enorme prestigio. Era una spedizione molto delicata e che necessitava di passare inosservata o il demone sarebbe scappato via non lasciando tracce. 

Travestiti da monaci itineranti, i sei uomini si affrettarono verso il monte Tanba ottenendo conferma, attraverso incontri inaspettati, che a causare quelle sparizioni fosse la temibile figura di Shutendoji, amante dell’alcol: ottimo strumento con cui gli si avrebbe fatto abbassare la guardia. Yorimitsu e i compagni ricevettero il Jin-bekidokushu, che significa saké miracoloso che avvelena i demoni. Con quello, l’oni non sarebbe stato in grado di muoversi liberamente. E l’avventura verso il castello di Shutendoji prosegue, con i samurai ben consci di quale sia la migliore strategia da adottare e quanto sia pericoloso addentrarsi nella dimora dei demoni. Perché ad attenderli non ci sarà solo Shutendoji, ma anche il demone Ibaraki (tra i tanti altri), che in passato si scontrò con Tsuna, membro del gruppo di Yorimitsu. 

Tra scontri, piani andati in fumo, momenti di forte tensione e, purtroppo, anche esiti drammatici, prende forma la vicenda del demone della leggenda. 

In merito c’è un aspetto molto curioso: Yorimitsu, o Raiko, è un personaggio storico, e quindi realmente esistito. Inoltre, ebbe il compito di ripulire il monte Oe da un covo di banditi insediatosi su medesima montagna. In realtà si trattava di una collinetta nei pressi di Kyoto, nota per ospitare dei briganti, appunto. Era una località prettamente pericolosa e malfamata, poi dotata di una nuova luce e finendo con l’essere inglobata nell’area urbana della città. Vi sono tutte le condizioni storiche affinché si potesse trarre ispirazione per una futura leggenda, che avrebbe visto la comparsa di un omonimo monte Oe su cui risiedevano non briganti, ma demoni. 

La stessa figura di Shutendoji è interessante, e pare che, in accordo con le cronache del suo tempo, avesse un fondo di realtà: l’oni che oggi conosciamo pare sia basato su un giovane monaco di 12-13 anni che a causa di un suo senso di esasperazione dovuto alla dura vita monastica, decise di sterminare tutti i propri compagni e dedicarsi all’alcol, godendo della fama di terribile assassino. 

Go Nagai e il suo Shutendoji  

Un po’ tutti avranno sentito del grande maestro Go Nagai (Nagai Go 永井 豪 alla giapponese), mangaka da cui son partorite alcune delle serializzazioni divenute poi cult del mondo fumettistico, in modo particolare quello giapponese. 

Tutti lo conosceranno per il suo cavallo di battaglia Devilman デビルマン (1972 – 1973). È stato ed è ancora oggi uno degli artisti più innovativi e rivoluzionari nell’industria di anime e manga, portando, con un tono fortemente accentuato, l’erotismo al loro interno, così come i mecha. Generazioni di ieri ed oggi ricorderanno il formidabile Mazinga Z. Quel che a noi preme è un’opera racchiusa in 9 volumi, o tankobon, cominciata nel 1976 e conclusasi nel 1978, contando 30 capitoli: Shutendoji 手天童子. 

L’autore riprende alcuni dei temi riproposti nella figura di Shutendoji originaria, creandone qualcosa di nuovo in uno scenario altrettanto nuovo. Conia il nome del protagonista con caratteri nuovi, con il primo carattere significante “mano” e il secondo “cielo”. Si abbandona quel richiamo all’alcolismo. 

Infatti, il manga non ha il personaggio vile e grottesco degli otogizoshi, ma un giovane ragazzo che, da neonato, in seguito ad uno scontro mortale fra due oni, viene consegnato ad una coppia di umani dal demone vincitore, dicendo che sarebbe tornato a prendere il futuro Jiro Shutendo (questo era il suo nome) dopo 15 anni, in quello stesso giorno. È una breve ma bellissima storia che vede il protagonista condividere l’aspetto tenebroso del regno dei demoni e quello umano, a cui seguiranno numerosi risvolti e colpi di scena. 

Gode anche di una trasposizione animata nel 1979 in 4 OAV, e nel 2007 di un remake, in collaborazione con Natsumoto Masato, con una simile ambientazione, ma storia diversa, sotto il titolo di Gomaden Shutendoji, in 7 volumi con 39 capitoli.

Gli oni sono entità malvagie? 

In conclusione, stiamo parlando di un personaggio che col passar dei secoli ha visto se stesso essere rappresentato sotto diverse sfumature e ideologie. 

Oggi la figura di Shutendoji, così come gli oni in senso ampio, sono classificati come entità malvagie, e questa idea è stata covata a lungo, dando sfoggio ad una nuova figura antagonistica del mondo narrativo, avvicinandosi o racchiudendo al loro interno delle sottocategorie di demoni connotati come malvagi: gli yasha 夜叉(demoni che si nutrono di carne e sangue umano), i gaki 餓鬼 (demoni affamati), i rasetsu 羅刹 e così via discorrendo. 

Eppure, diversamente da come penseremmo, gli oni non nascono in origine come entità malvagie. Alcuni erano persino kami! Non si nega che fossero colpevoli di disastri naturali, almeno secondo superstizioni, però non erano vincolati ad una chiave di lettura secondo cui erano “cattivi”: era semplicemente frutto della loro natura, istintività. 

È dunque curioso il modo con cui si è giunti ad una visione diversificata dell’idea originale, e che si è continuata ad evolvere, anche in relazione ad opere degli ultimi anni, come nel caso di Shutendoji di Go Nagai. 

Fonte immagine in evidenza: copertina del manga Goumaden Shutendoji, volume 1

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