La magia nel mondo classico: Grecia e Roma a confronto

La magia nel mondo classico: Grecia e Roma a confronto

Origine della magia nel mondo classico

La magia nel mondo classico si è da sempre intrecciata alle vicende umane offrendo una possibile risposta al desiderio dell’uomo di dominare la natura e il fato. Al giorno d’oggi si è soliti considerare completamente distinti fra loro ambiti come magia, religione e medicina, dimensioni che invece nel mondo antico si sovrappongono. La parola magia entra a far parte del vocabolario greco in seguito ai contatti con la Persia: Erodoto, in accordo con le altre fonti, elenca tra le sei tribù dei Medi quella dei Magi, una casta ereditaria di sacerdoti esperti in pratiche taumaturgiche e astrologiche, deputati a svolgere per conto del re riti funebri, divinazione e profezie. Similmente Plinio nelle sue “Naturalis Historia” afferma che la magia nasce in Persia dalla più alta forma di medicina, si lega in seguito alla religione e infine essa finisce con l’includere anche le arti matematiche, l’astrologia e la lettura degli astri, finalizzata a conoscere il proprio futuro ed il proprio destino. In questo modo, la magia intreccia tre aspetti che sono fondamentali per il genere umano, riuscendo a diffondersi e a comandare anche, commenta l’autore, ai re dei re.

Connotazione della magia in Grecia e a Roma.

Nel mondo classico la magia è il risultato di un processo di sincretismo e di una stratificazione multietnica; infatti, magie sofisticate provenienti dall’Oriente si mischiano a credenze più arcaiche. Dalle leggi romane delle XII tavole, ad esempio, sappiamo che veniva perseguitata come pratica criminale il fruges excantarei, cioè danneggiare un altro agricoltore pronunciando certe formule magiche, evidenza di un retaggio del mondo rurale e dell’Italia centrale.

In Grecia, tuttavia, la parola mago assume una connotazione negativa, a metà fra quella di mendicante e indovino, benché, anche lì, fin dalle epoche più antiche esistessero individui dediti a compiere incantesimi per gli scopi più disparati: libertà dal malocchio, fatture d’amore ed esorcismi. Designati con il termine magheίa sono sia i culti misterici privati sia la magia cosiddetta nera, fenomeni che non rientrano nella religione collettiva della polis e che attingono dal patrimonio religioso formule e rituali.

È per questo motivo che la magia, intesa come professione, rimase sospetta e temuta tra i Greci e i Romani. Le grandi maghe della mitologia greca, Circe e Medea, sono rappresentate come malefiche, pericolose e, soprattutto, straniere.

La maga Circe.

A Circe, figlia del Sole, Omero, nel X canto dell’Odissea, dedica più di quattrocento versi, raccontando come la dea–maga vivesse da creatura immortale sulla terra, tra cielo e mare, in un grandioso palazzo immerso in una natura risplendente, dedita a tessere e cantare con voce leggiadra. La dea-maga, secondo l’Odissea di Omero, era impreziosita da una chioma riccia raccolta in lunghe trecce e attirava gli uomini col suo canto melodioso, accogliendoli presso la propria mensa e seducendoli con cibo e bevande. Quella di Circe è una bellezza insidiosa e il suo fascino insieme alla sua sapienza nel preparare filtri magici la rende capace di operare metamorfosi e di trasformare gli uomini che attrae in esseri di altre specie. Per gli antichi il maggiore attributo di Circe è quello di signora delle piante, delle erbe e della vegetazione, che lei sa usare per curare, ma anche per rivelare la vera natura degli umani. Circe quindi nell’epos greco rappresenta la divina incarnazione dello spirito femminile dominante e che prende l’iniziativa, suscitando il desiderio al di fuori dei luoghi istituzionalmente deputati a tal fine.

La magia e Medea.

Alla discendenza di Circe appartiene l’altra grande maga della mitologia greca, Medea, anch’ella della stirpe del Sole, figlia di Eete, re della Colchide, che è a sua volta figlio di Helios. Mentre la figura paterna di Medea è ben definita, la madre è identificata con diverse figure mitiche: la mitologia parla addirittura di Circe, che aveva come figlia “Cassifone” (“fratricida”) uno degli appellativi di

Medea. Quello di Medea è un nomen omen perché significa “essere scaltro” e che trova la propria radice nel verbo μήδομαι, “macchinare”. Il nome della maga è accompagnato da diversi appellativi come “manipolatrici di filtri” oppure “l’esperta”, che la lega alla sfera magica del φάρμακον, inteso sia in senso positivo che negativo. Secondo il mito sarà proprio Medea a fornire a Giasone il farmaco per addormentare il drago custode del vello d’oro ed è quindi grazie a lei che l’impresa si compie. Nonostante le proprie arti magiche la donna non riuscirà a tenere con sé Giasone, che deciderà di abbandonarla per prendere in sposa Creusa, la figlia di Creonte. In questo momento i φάρμακα di Medea, tradita e in preda al furor, si trasformano da sostanze protettive e di seduzione, in armi mortali. La maga decide di scatenare la propria violenza e fingendo di inviare un segno di pace ella fa consegnare un diadema e una ricca veste alla futura sposa di Giasone. Quei doni però sono intrisi di un terribile veleno, che produce effetti devastanti, divorando le carni della giovane donna.

La magia e Virgilio.

A Roma la magia è, come in Grecia, ugualmente molto diffusa e affonda le sue origini nell’influenza degli etruschi. In generale però l’atteggiamento della cultura romana nei confronti della magia è di condanna perché in contrasto con la ratio latina. Malgrado tale ostilità il ricorso alla magia a Roma è frequente e si lega a esperienze diverse, da un lato al macabro e alla negromanzia, dall’altro diventa di uso comune nelle questioni amorose. La Bucolica VIII di Virgilio, anche chiamata Pharmaceutria, narra di un rito magico propiziatorio eseguito da una pastorella, intenzionata a riaccendere l’interesse del suo amato Dafni nei propri confronti. La ragazza porta tre volte intorno all’altare l’immagine di Dafni, l’amato che non torna dalla città, ed ordina all’ancella di legare con tre nodi i fili sacri che circondano l’immagine, sulla quale l’incantatrice brucia alloro. La pastorella poi seppellisce le vesti di Dafni e ordina alla sua serva di gettare la cenere in un ruscello, ceneri che però avvolgono l’altare di tremule fiamme in presagio del ritorno dell’innamorato. Anche in questo componimento, così come in Teocrito, sono presenti un ritornello e l’invocazione alla dea-maga Circe, cui la pastorella si ispira e chiede aiuto.

Confronto tra Grecia e Roma: la magia nel mondo classico.

Tuttavia, nel mondo romano le donne esperte di arti magiche, chiamate strigae, a differenza che nel mondo greco, avranno sempre una connotazione negativa e macabra. Innegabilmente l’italiano mantiene uno stretto legame con il sostantivo latino femminile strix, strigis, che indicava «l’uccello – o lo spirito-uccello, o la donna metamorfizzata in uccello – che insidia i bambini e viola i cadaveri». A sua volta, il termine latino deriva dal greco antico στριξ, ossia “gufo”, che conserva al suo interno la radice del verbo “stridere”, in virtù del lugubre verso del rapace notturno. Solitamente, la figura della strix era considerata di cattivo auspicio e, richiamava il tema dell’antropofagia. La strix è un uccello capovolto, è una donna che sceglie il rovescio di quello che le donne dovrebbero garantire nella comunità antica, essere madri e accrescere la famiglia.

Fonte immagine in evidenza: wikipedia.it

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