Le 5 poesie più belle di Baudelaire

Le 5 poesie più belle di Baudelaire

Charles Baudelaire era un poeta francese e massimo esponente del movimento Simbolista, una corrente artistica nata proprio in Francia che ricercava nella natura dei simboli, appunto, che una volta interpretati, secondo il pensiero sensibile dei poeti, avrebbe portato questi ultimi alla verità e alla bellezza. Baudelaire era uno di questi poeti, dedito alla ricerca della bellezza in varie tappe illustrate nella sua opera poetica più famosa, I Fiori del male, che sancisce questo viaggio dello spirito umano tra i vizi dell’alcol, delle droghe e dei piaceri carnali, in lotta con un senso di ansia e depressione, chiamato dall’autore Spleen. In questo articolo si riportano le 5 poesie più belle di Baudelaire, dove il poeta ci porta in un viaggio poetico ed estatico tra la natura umana, i suoi sogni infranti, i suoi vizi e la conclusione della sua vita .

1. Al lettore

La stoltezza, la brama, l’errore, la ferita
ci possiedono a tal punto che ne siamo stremati:
ci attacchiamo ai rimorsi da noi alimentati
come fa il mendicante col verme parassita.

Peccatori testardi, dai pentimenti vaghi,
vendiamo a caro prezzo i nostri bei propositi,
poi torniamo leggeri sui sentieri fangosi
credendo un pianto vile nostre colpe dismaghi.

Satana Trismegisto sul cuscino del male
cullandoci lo spirito ci tiene in suo potere
e quel raro metallo che è il nostro volere
con sapiente alchimia a vapor rende eguale.

Come un vizioso povero che sbaciucchia e divora
d’una sfatta puttana il seno martoriato
vogliam prendere al volo un piacere celato
e forte lo spremiamo com’arancia insapora.

Formicolante e fitta come vermi in fermento
nella testa ci danza un’orda di demoni,
e quando respiriamo, la Morte nei polmoni
scende, invisibile fiume, con un fioco lamento.

Se lo stupro il veleno l’incendio il furore
non hanno ancora impresso ricami variopinti
nella sdrucita tela dei nostri giorni stinti
è perché non abbiamo ancora troppo ardire.

In mezzo ad avvoltoi basilischi scorpioni
vipere linci scimmie sciacalli, in mezzo ai mostri
che grugniscono latrano s’avventano con rostri,
nell’infame serraglio di vizi e di passioni,

uno ce n’è più basso più maligno più immondo
che volentieri senza gesto alcuno né chiasso
della terra farebbe un immenso sconquasso
e in un solo sbadiglio ingoierebbe il mondo:

la Noia. Un pigro pianto per oscuro fardello,
sfumacchia il narghilè sopra morti e patiboli.
Di quel mostro impalpabile tu sai, lettore, i triboli,
ipocrita lettore, mio simile, fratello.

Prima di approcciare il lettore alla lettura del suo libro, l’autore scrive questa poetica dedica al lettore, rientrando a far parte di una delle poesie più belle di Baudelaire. Si inizia questo viaggio dei Fiori del Male in una specie di nascita del male nella mente delle persone, che, inizialmente prese dai buoni propositi, si lasciano abbindolare dalla figura del male per antonomasia, il Diavolo. Ma perseguendo in questa ricerca sfrenata e malsana del piacere, il poeta ci avverte di una “belva” che, peggiore di vipere, scorpioni e avvoltoi, sarebbe talmente potente da far cadere l’intero mondo, ovvero la Noia, di cui il lettore e il poeta sono legati dalla conoscenza di questa bestia. Una delle poesie più belle di Baudelaire in assoluto, in questa il poeta e il lettore sono complici e colpevoli, ma anche uniti in questo viaggio che entrambi compiono per raggiungere la bellezza.

2. Spleen IV

Quando, come un coperchio, il cielo basso e greve
schiaccia l’anima che geme nel suo tedio infinito,
e in un unico cerchio stringendo l’orizzonte
fa del giorno una tristezza più nera della notte;

quando la terra si muta in un’umida segreta
dove, timido pipistrello, la Speranza
sbatte le ali contro i muri e batte con la testa
nel soffitto marcito;

quando le strisce immense della pioggia
d’una vasta prigione sembrano le inferriate
e muto, ripugnante un popolo di ragni
entro i nostri cervelli dispone le sue reti,

furiose a un tratto esplodono campane
e un urlo tremendo lanciano verso il cielo,
così simile al gemere ostinato
d’anime senza pace né dimora.

Senza tamburi, senza musica, dei lunghi funerali
sfilano lentamente nel mio cuore: Speranza
piange disfatta e Angoscia, dispotica e sinistra,
pianta sul mio cranio riverso la sua bandiera nera.

Questa poesia è una delle quattro poesie che portano il titolo di Spleen, in ognuna di queste l’autore dà al lettore una descrizione accurata di ciò che lui chiama Spleen, appunto. Questa poesia, la quarta, è una delle poesie più belle di Baudelaire a parlare di Spleen, il quale viene descritto come una pressione talmente forte che attanaglia l’anima, facendola sentire in uno spazio angusto e buio, come una prigione. Un sentimento talmente oscuro che rende ogni giornata di sole in una notte senza stelle, dove neanche l’ultima speranza per un domani migliore riesce a sopravvivere, la quale, come un pipistrello intrappolato, è disorientata e sconfitta dall’Angoscia, che ha vinto sul nostro intelletto e la nostra sensibilità. Sicuramente una delle poesie più belle di Baudelaire, anche una delle più raccapriccianti, le cui descrizioni sono talmente vivide e reali, che chiunque legga questi versi non può che rimanerne affascinato e spaventato allo stesso tempo.

3. L’anima del vino

Dentro le bottiglie cantava una sera l’anima del vino:
‘Uomo, caro diseredato, eccoti un canto pieno
di luce e di fraternità da questa prigione
di vetro e da sotto le vermiglie ceralacche!

So quanta pena, quanto sudore e quanto sole
cocente servono, sulla collina ardente,
per mettermi al mondo e donarmi l’anima;
ma non sarò ingrato né malefico,

perché sento una gioia immensa quando scendo
giù per la gola d’un uomo affranto di fatica,
e il suo caldo petto è una dolce tomba
dove sto meglio che nelle mie fredde cantine.

Senti come echeggiano i ritornelli delle domeniche?
Senti come bisbiglia la speranza nel mio seno palpitante?
Vedrai come mi esalterai e sarai contento
coi gomiti sul tavolo e le maniche rimboccate!

Come accenderò lo sguardo della tua donna rapita!
Come ridarò a tuo figlio la sua forza e i suoi colori!
Come sarò per quell’esile atleta della vita
l’olio che tempra i muscoli dei lottatori!

Cadrò in te, ambrosia vegetale,
prezioso grano sparso dal Seminatore eterno,
perché dal nostro amore nasca la poesia
che come un raro fiore s’alzerà verso Dio!’

Tra le più belle poesie di Baudelaire, c’è spazio anche per questa piccola poesia tratta dalla sezione “Il vino” de I fiori del male. Qui si può assistere al vino che parla, pregando al lettore o a un interlocutore anonimo di berlo, così che l’uomo ritorni ad essere felice e, in qualche modo, anche le persone che lo circondano. Nonostante questa poesia possa sembrare un’innocente lode al frutto del duro lavoro dei contadini che trasformano l’uva in vino, in questo testo possiamo evincere che il vino non ci sta parlando, ma è il lettore che, mettendosi nei panni di una persona ubriaca, si lascia andare in questa piccola illusione e stordimento dell’alcol, ascoltando il vino che gli canta queste parole.

4. L’albatros

Spesso, per divertirsi, i marinai
catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari,
indolenti compagni di viaggio delle navi
in lieve corsa sugli abissi amari.

L’hanno appena posato sulla tolda
e già il re dell’azzurro, maldestro e vergognoso,
pietosamente accanto a sé strascina
come fossero remi le grandi ali bianche.

Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato!
E comico e brutto, lui prima così bello!
Chi gli mette una pipa sotto il becco,
chi imita, zoppicando, lo storpio che volava!

Il Poeta è come lui, principe delle nubi
che sta con l’uragano e ride degli arcieri;
esule in terra fra gli scherni, impediscono
che cammini le sue ali di gigante.

Una delle poesie più belle di Baudelaire, e anche una delle più famose e ricordate, in cui l’albatros, uccello marino, è oramai considerato come animale simbolo del poeta. Nell’immaginario poetico di fine ‘800, era molto comune, in realtà, immaginare l’albatros, o il gabbiano, come simbolo della libertà poetica, in cui molti artisti si rivedono come un uccello che con le sue ali, o intelletto, voli più in altro di coloro che non sanno volare, ovvero le persone prive di invettiva o di sensibilità. In questa poesia si può notare come la figura del poeta/albatros sia derisa dai marinai che hanno portato l’uccello sulla terraferma, facendo sì che Baudelaire crei in questa poesia la figura del poeta maledetto, che si rincontrerà anche in altre figure poetiche come Paul Verlaine e Arthur Rimbaud.

5. La morte degli amanti

Avremo letti pervasi di odori lievi,
divani cupi come sepolcri,
e fiori astrusi sparsi sui ripiani
schiusi per noi sotto cieli più belli.

Logorando a sfida le estreme passioni
i nostri cuori saranno grandi torce
che specchieranno il duplice chiarore
nei nostri spiriti, specchi affini.

In una sera di rosa e azzurro mistico
un raggio solo ci vedrà vicini
come un lungo singulto pieno d’addio,

Più tardi un angelo schiudendo le porte
verrà a rallegrare, devoto e gioioso
gli specchi velati e le fiamme morte.

Si conclude questa lista delle poesie più belle di Baudelaire con una delle poesie che si trova nell’ultima sezione dei Fiori del male, la Morte, qui nello specifico abbiamo La Morte degli Amanti. Qui si assiste alla fine della vita di due amanti, che in vita ardevano insieme di una dolce passione, ma che solo in un solo momento delle loro esistenze, ovvero sul punto di morire, un angelo verrà a reclamare le loro spoglie. Questa è la fine del viaggio delle poesie più belle di Baudelaire, il quale ha cominciato nel descriverci lo Spleen, il rapporto dell’uomo con i vizi e con la società, fino a portarci nel momento in cui le persone possono trovare la bellezza e la verità: la morte.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

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