Poesie sul vino: quando il vino si fa in versi

poesie sul vino

“Il vino è uno dei maggiori segni di civiltà nel mondo” citava il grande E. Hemingway, e sin dall’antichità infatti i poeti hanno correlato al vino i numerosi temi della quotidianità, quali la passione amorosa, la convivialità, l’abbandono all’ebbrezza, creando così un vero e proprio topos letterario di poesie sul vino che intinge le sue radici in ogni epoca fino ad arrivare ai giorni nostri.

L’importanza del vino nella letteratura greca e latina

Nell’antica Grecia il Dio del vino veniva identificato con Dioniso (Bacco per i Romani) venerato non solo per essere il dio dell’ebbrezza e della liberazione dei sensi, ma anche dello slancio creativo: tutta l’antica drammaturgia infatti era legata al dionisismo e i vari “misteri” legati al culto inglobavano in buona parte la musica, tramite l’uso di strumenti a fiato, i cori e le danze: queste competizioni teatrali erano svolte durante le Dionisie, cerimonie in onore del dio, celebrate 4 volte all’anno.

Alle radici della letteratura greca, il poeta Omero racconta in un passo dell’Odissea di un particolare vino prodotto in Tracia, luogo originario del culto di Dioniso, descrivendolo un vino folle, incorruttibile, ma soprattutto salvifico, grazie al quale Ulisse, l’uomo dal multiforme ingegno, riesce ad ingannare Polifemo, il ciclope che cadendo intorpidito in un sonno profondo, permette ad Ulisse, una volta accecatolo con un palo di legno, di mettersi in fuga e salvarsi con i compagni superstiti.

Ma il vino fu elemento indispensabile soprattutto per il simposio: il poeta greco Alceo vissuto a Mitilene tra il 620 ed il 540 a.C. nei versi che compone in età avanzata si rivolge al vino come unico mezzo attraverso il quale l’uomo può guardare dentro di sé: “il vino è lo specchio dell’uomo”.

Accosta al vino oltre che tematiche civili come la lotta contro la tirannia di Mirsilo, Ora bisogna ubriacarsi. Ora bisogna che ognuno a forza beva: Mirsilo è morto”, anche tematiche in cui il vino viene individuato come l’unico a porgere rimedi per una vita breve e piena di affanni, solo l’ebbrezza infatti può lenire la sofferenza dell’esistenza: Beviamo, perché aspettare le lucerne? Breve il tempo. O amato fanciullo, prendi le grandi tazze variopinte, perché il figlio di Zeus e Sémele diede agli uomini il vino per dimenticare i dolori. o ancora Esiste una medicina, la migliore: portiamo qui il vino e inebriamoci”.

Per le poesie sul vino che si stagliano invece sul panorama letterario latino facciamo riferimento indubbiamente al poeta Orazio, nato a Venosa, terra dell’Aglianico nel 65 a.C, che si ispira al poeta Alceo prendendolo in riferimento come modello per le sue Odi, introducendo inoltre nel panorama letterario la strofa alcaica, dal nome del medesimo autore greco.

Orazio nelle sue liriche dimostra le minuziose competenze che ha in fatto di tecniche di vinificazione ed enografia, citando una discreta quantità di vini: dal Cecubo, al quale spesso ricorreva per celebrare un lieto evento, al vino Veio e Falerno, che raccomandava di bere con parsimonia. 

Uno dei componimenti più celebri è il “Carpe diem”, un invito a cogliere -da buon epicureo- l’attimo, ad essere saggi, in cui l’importanza di saper filtrare il vino diventa slancio di vitalità e pienezza esistenziale (sapias, vina liques…), o ancora il verso Nunc est bibendum (Ora si deve bere), ode che celebra la morte di Cleopatra e di conseguenza invita tutti a brindare gioiosamente. Altro celebre passo è l’ode a Taliarco in cui la metafora della neve che candida ricopre ogni cosa viene collegata al dolore della fatica e all’immobilità della morte, che può sciogliersi solo col fuoco e riscaldarsi col vino puro Dissolve frigus ligna super foco/ Large reponens atque benignius/Deprome quadrimum Sabina/O Thaliarche, merum diota.” (Dissolvi il freddo, mettendo legna sul fuoco in abbondanza, e versa generosamente vino di quattro anni dall’anfora Sabina a due anse, o’ Taliarco.)

Altri due autori latini, Ovidio e Tibullo considerano invece il vino ispiratore di passione per la poesia amorosa:

Mentre l’autore dell’Ars Amatoria afferma infatti che ”Venere col vino è fuoco aggiunto al fuoco” e che esclusivamente “il vino dispone l’animo all’amore e lo rende pronto alla passione”; Tibullo utilizza il vino per alleviare le pene d’amore “Nel vino voglio soffocare i dolori, al vino chiedo che faccia scendere negli occhi stanchi, consolatore, il sonno”.

Altro importante poeta che fa riferimento in modo significativo alle poesie sul vino è Catullo, che sebbene avesse frequentato per molto tempo Roma, non apprezzava l’usanza di mescolare il vino all’acqua; in un suo carme infatti invita un coppiere a versare un calice di Falerno puro, senza l’aggiunta di acqua: “E l’acqua se ne vada dove le pare a rovinare il vino, lontano, fra gli astemi: questo è vino puro.”

Le poesie sul vino affondano le loro radici nel novecento italiano

Che sia un calice di vino bianco, rosso o rosato, da secoli l’effetto delle bollicine ha inebriato i poeti, mescolando così all’ebbrezza del vino la poesia, fino a renderla immortale.

Mescete, o amici, il vino. Il vin fremente / scuota da i molli nervi ogni torpor, / purghi le nubi de l’afflitta mente, / affoghi il tedio accidioso in cor”: così nella letteratura italiana otto-novecentesca il poeta Giosuè Carducci celebra il “nettare che fa buon sangue”, quello che risveglia i sensi da ogni torpore e annega la sofferenza, come anche Giovanni Pascoli che nelle sua raccolta Myricae inneggia al tempo della vita con un calice di vino “O convitato della vita, è l’ora. Brillino rossi i calici di vino”.

La poetica dannunziana invece è irrorata dalla passione: per Gabriele D’Annunzio vino e sensualità si identificano, facendo da complice ai giochi amorosi degli amanti. I sensi si amplificano, bere insieme due calici di vino diventa un gesto carico di erotismo, come si evince dai passi del sul romanzo Il Piacere Egli vide Elena nell’atto di bagnare le labbra in un vino biondo come un miele liquido. Scelse tra i bicchieri quello ove il servo aveva versato un egual vino; e bevve con Elenao ancora “Io lentamente le verso a stille il vin dolce e ardente entro quel rosso fiore de ‘l piacere

Quando il vino si fa cultura nella letteratura straniera

Le poesie sul vino hanno ispirato anche molte scrittrici donne, come Emily Dickinson che paragona l’amore agli effetti inebrianti dei calici di vino “L’Impossibilità, come il Vino eccita l’Uomo che l’assapora”, ma ha ispirato anche la cupa e profonda passione di Emily BronteHo sognato nella mia vita, sogni che son rimasti sempre con me, e che hanno cambiato le mie idee; son passati attraverso il tempo ed attraverso di me, come il vino attraverso l’acqua, ed hanno alterato il colore della mia mente.

Tra i lodatori più celebri del vino concludiamo con Charles Baudelaire che scrisse tra il 1850 e il 1857 vari componimenti nella sua raccolta Les fleurs du mal in cui il vino appare come protagonista personificato. Baudelaire trova in un calice di vino l’unico modo possibile per evadere dalla vita terrena quotidiana rendendola piacevole e percepire lo slancio creativo che produce arte: “Il vino a una bettolaccia grigiastra dà uno sfarzo incantevole, e fa sorgere portici di favola nella bruma rossastra, come un sole che tramonti tra nuvole.” e ancora scrive Per annegare il rancore e cullare l’indolenza, Dio aveva creato il sonno; l’uomo vi aggiunse il vino, sacro figlio del Sole“. 

Il vino viene evocato sotto forma di poesia in una logica d’evasione dalla realtà, forse per questo è un tema che ha affascinato e continua tutt’oggi ad esercitare una sottile costanza nei diversi panorami letterari… e come sostiene Baudelaire: “Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi tiene a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, poesia o di virtù : come vi pare. Ma ubriacatevi!” 

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