I poeti maledetti: chi erano e perché si chiamano così

I poeti maledetti: chi sono e perché rappresentano la poesia moderna

I poeti maledetti: chi erano e perché vengono chiamati così

Poeti maledetti, poètes maudits: gli amanti della poesia si sono almeno una volta rapportati con questa definizione, al quale la critica ha dedicato biblioteche intere di testi. Ci viene da dire, a ben ragione. I poeti maledetti, vissuti durante la seconda metà dell’Ottocento, rappresentano a tutto tondo una prima generazione di poesia che possiamo definire moderna. Ma essere poeti maledetti non significava – e significa – soltanto “scrivere” in un certo modo, bensì racchiude tutta una filosofia di pensiero che si esplica anche nel loro modo di vivere, con ripercussioni sociali non da poco.

La fortuna della definizione “poeti maledetti” fu fatta da Paul Verlaine, con l’opera Les poètes maudits pubblicata nel 1884: all’interno, Verlaine inserì i poeti che soleva frequentare abitualmente. Ritroviamo, quindi: Arthur Rimbaud, Stephane Mallarmé, Tristan Corbiere, Auguste Villiers de l’Isle-Adams, Marceline Desbordes-Valmore (unica donna inserita nel circolo) e Pauvre Lelian (che altro non era che Paul Verlaine sotto forma di acronimo).

Ciò non significa che i maledetti furono una “corrente” attiva soltanto nell’Ottocento, anzi: lo scrittore latino Petronio è stato inserito tra i poeti maledetti, per la sua condotta; il medievale François Villon; in epoca contemporanea, sono stati chiamati “maledetti” anche il cantante Jim Morrison, Kurt Cobain dei Nirvana, ma anche Amy Winehouse.

Essere poeta maledetto non significava, pertanto, essere soltanto avvezzo all’alcol, alle droghe ed ai tipi di evasione “artificiali”: essere poeta maledetto significava anche condurre una vita al di fuori della società, sia perché delusi dall’andazzo della stessa (ci riferiamo, qui, alle vicissitudini accadute in Francia durante tutto l’Ottocento), sia per una sorta di “snobismo”: infatti, i poeti maledetti nelle loro opere non parlavano della povera gente – lasciando, quindi, il compito al positivismo ed al realismo di quegli anni – ma si dedicavano a minuziose descrizioni di personaggi singolari, alla ricerca estetica ed autoreferenziale della poesia.

I poeti maledetti: quando nascono e quali sono le loro opere

Il mito del poeta maledetto si ramifica, quindi, nel complesso quadro letterario che è l’Ottocento in Francia. Come ben sappiamo, la corrente maggiore fu il Romanticismo, che si articolò in vari periodi (primo e secondo Romanticismo, per semplificare) e che a mano a mano si avviò verso una “distruzione” della poesia come la si era conosciuta fino a quel tempo, a partire dal verso. Se – fino a Baudelaire compreso – il verso più prolifico in Francia era stato l’alessandrino (che Victor Hugo e Baudelaire portarono alle estreme conseguenze di bellezza e possibilità), con i poeti maledetti ci avviamo verso la distruzione del verso, alla non-coordinazione tra le varie parti del discorso.

Per quanto riguarda le tematiche, come abbiamo avuto già modo di accennare, i poeti maledetti sceglievano tematiche che li “allontanavano” dalla borghesia e dalla descrizione della realtà (compito che lasciavano all’allora imperante corrente del Realismo e del Positivismo), avvicinandosi a temi “di nicchia” e non socialmente accettabili spesso.

Maudit: i poeti maledetti sulla soglia della modernità

Tutti i poeti maledetti inseriti nell’opera verlainiana rappresentarono delle eccellenze della loro epoca; menzione d’onore per l’unica donna, Marceline Desborde-Valmore: dalla vita pittoresca, attrice di teatro, i suoi versi richiamano ancora la compostezza del primo romanticismo, lasciando intravedere qualcosa in più, di inespresso.

Arthur Rimbaud, il geniale poeta bambino, fu senza dubbio il più conosciuto tra i poeti maledetti. La sua vita sregolata – dopo un’infanzia segnata dai successi scolastici, infatti di lui dicevano i docenti: diventerà il genio del male oppure il genio del bene – fu capovolta totalmente dalla relazione amorosa che ebbe con il poeta Paul Verlaine. Une saison en enfer, la sua personale “discesa all’inferno” post-relazione, è una delle opere più influenti della poesia moderna. Nella sua “Lettera al veggente”, scritta al suo amico Paul Demeny, Baudelaire definisce ciò che deve essere il poeta maledetto, oppure più in generale il poeta: Je est un autre, Io è un altro. Il poeta – per essere tale e cogliere pienamente i simboli e le sinestesie –  si deve spersonalizzare; per fare ciò deve lasciarsi andare ad un profondo e totale sregolamento di tutti i sensi.

Per quanto riguarda la rivoluzione del linguaggio poetico in fatto di versi e musicalità, il posto d’onore è da attribuire sicuramente a Stéphane Mallarmé. Attraverso un lungo lavoro, dove egli “ripudia” la tensione tradizionalistica del verso classico finora imperante, Mallarmé attribuisce un nuovo significato alla poesia ed un nuovo ruolo. La poesia simbolista di Mallarmé non è altro che una “vera menzogna”, autoriflessiva, autoreferenziale. A ciò, si può arrivare soltanto facendo tabula rasa – concetto del filosofo René Descartes – di tutto ciò che vi era stato prima.

Soltanto così si poteva “morire” alla poesia vecchia (come si può ben notare nel poema Quand l’ombre menaça de la fatale loi) ed iniziare un nuovo percorso, non senza dolore, non senza spine.

Foto in evidenza: pixabay.com

A proposito di Nunzia Clemente

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