Le Captivity Narratives, racconti di rapimenti

Le Captivity Narratives, racconti di rapimenti

La letteratura è una disciplina talmente importante, tra le più artistiche e più antiche di sempre, che ci ha lasciato una serie di scritti, opere e documenti che parlano di esperienze reali, accadute a varie persone nel corso dei secoli. Sotto forma di biografie, cronache, lettere e diari possiamo approfondire non solo i contesti storici in cui le persone vivevano, ma anche usi e costumi di popoli di luoghi e tempi lontani. Esempi pratici possono essere le lettere che Vincent van Gogh scriveva a suo fratello Theo, in cui si possono trarre non solo la psiche e la sensibilità del pittore, ma anche il suo rapporto stretto e confidenziale col fratello, rivelandogli i suoi successi, le sue paure e i suoi tormenti. Esiste, però, un tipo di racconto molto più vecchio, concernente esperienze reali di persone che sono state catturate e fatte prigioniere, ovvero le Captivity Narratives.

Formata dalle parole inglesi “Captivity” e “Narrative“, questa Narrativa di prigionia, come s’intende dal nome, comprende racconti di persone che sono state catturate in un determinato contesto e vengono portate via dai rapitori, che potevano essere pirati in alto mare, barbari di terre selvagge, o soldati che catturavano prigionieri di guerra. Le Captivity Narratives, essendo scritte in prima persona dagli ostaggi, offrono una narrativa mista a un racconto di viaggio e un diario, descrivendo i rapitori, la loro società, i loro usi e costumi, attendendo con ansia il loro ritorno alla vita normale. Non tutte le vittime di questi rapimenti però hanno un lieto fine, molti degli ostaggi delle Captivity Narratives vengono assimilati all’interno di questo tipo di società “barbara”, oppure vengono uccisi; solo alcuni casi si evince un ritorno alla civiltà di origine.

Queste Captivity Narratives nacquero in un’Europa medievale in cui, tra i numerosi conflitti tra i territori europei vi era un numero esiguo di vittime e prigionieri; un esempio di questi è il nobile tedesco Johann Schiltberger, che durante la battaglia di Nicopoli del 1396 venne ferito e catturato dagli ottomani. Durante il suo periodo di prigionia, egli descrisse i luoghi visitati dell’Impero ottomano, i suoi servigi presso la corte del sultano Bayezid I e le varie campagne d’esplorazione che gli aveva affidato verso l’Egitto e l’Asia minore.

Il momento storico in cui le Captivity Narratives toccarono il loro apice fu il periodo coloniale degli Stati Uniti, specificamente durante le guerre contro i nativi d’America, come la Guerra di Re William e Re Filippo e le guerre franco-indiane, una fascia temporale che inizia verso la fine del 1600 e la metà del 1700. Queste Captivity Narratives in particolare sono state scritte da persone che avevano un forte zelo nella religione; quindi, molte delle peripezie affrontate durante il rapimento degli indiani venivano spesso viste come delle prove che Dio mandava loro per testare la loro fede contro i nativi barbari e pagani.

Esistono molte Captivity Narratives che parlano dei rapimenti fatti dai nativi americani: la più famosa tra queste è il racconto di Hannah Duston, la Captivity più ricordata nel corso della storia dell’America. Hannah Duston viveva in una comunità del Massachusetts e, durante la Guerra di Re William (nel 1697), dei nativi assaltarono la sua cittadina, mietendo vittime e prendendo in ostaggi altri, tra cui Hannah, sua figlia appena nata e la balia. Durante il tragitto per andare nel villaggio degli indigeni, questi presero la piccola figlia di Hannah e la uccisero facendola sbattere contro un albero. Tra la disperazione e la rabbia, incitata dagli insulti dei nativi, una volta arrivati all’accampamento e calata la notte, Hannah Duston e altri prigionieri scatenarono una rivolta, uccidendo i nativi che li avevano rapiti. Tra le varie Captivity Narratives, l’episodio e la figura di Hannah Duston verranno ricordati come allegoria della ribellione, della libertà e soprattutto della supremazia della fede cristiana contro i culti pagani.

Fonte immagine in evidenza: Wikipedia

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