Storia del cinema: 6 cult che devi assolutamente vedere

Storia del cinema: 6 cult che devi assolutamente vedere

Sono tanti i film cult che hanno lasciato un segno nella storia del cinema. In questo articolo ti mostreremo quali sono i 6 cult memorabili del cinema che devi assolutamente conoscere. Quindi, se non li hai ancora visti, corri a farlo!

6 cult della storia del cinema

1. Quarto potere

Quarto potere è un film del 1941 diretto, interpretato, co-prodotto e co-sceneggiato da Orson Welles. Charles Foster Kane, di origini umili, riesce a diventare un editore potente e una personalità di spicco. Durante la sua vita, però, concepirà l’amore come possesso, e ciò lo condurrà alla disperazione e all’isolamento. Quarto potere è un vero cult della storia del cinema che ha segnato una svolta nell’industria cinematografica statunitense. Welles attua una vera e propria rivoluzione nella logica produttiva, narrativa e linguistica della Hollywood classica, una rivoluzione destinata a lasciare tracce profonde e durature e a modificare la storia del cinema. Il film comincia dalla fine, e da quel momento in poi la narrazione procede per 5 lunghi flashback. Il flashback (all’interno della sceneggiatura di ferro) era consentito in un momento in cui un personaggio raccontava qualcosa del proprio passato. Invece, Welles struttura tutto il film attraverso questi lunghi flashback (ogni volta che il giornalista incontra un personaggio che ha conosciuto Kane, comincia una narrazione per flashback). Lo spettatore ha il compito di ricomporre, attraverso i flashback, la personalità di Kane, il che non risulta per niente facile e che mette in discussione la leggibilità della storia.

2. Ladri di biciclette

Ladri di biciclette di Vittorio De Sica è un film del 1948. È considerato un classico della storia del cinema ed è ritenuto uno dei massimi capolavori del neorealismo cinematografico italiano, sviluppatosi alla fine della Seconda guerra mondiale. Ladri di biciclette segue il viaggio di Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani) e il figlio Bruno (Ezio Stajola) nella loro quotidianità, che diverrà lo scheletro di una narrazione semplificata ai minimi termini. In questo film, una vera protagonista è la macchina da presa che segue i personaggi pedinandoli e non perdendo nemmeno un attimo dei loro percorsi. Dunque, attraverso la macchina da presa, veniamo a conoscenza dei fatti e della vita dei personaggi, i quali inscenano il reale in maniere differenti. 

3. La donna che visse due volte (Vertigo)

Diretto da Alfred Hitchcock, La donna che visse due volte (Vertigo) è un film del 1958, tratto dal romanzo omonimo del 1954, scritto da Thomas Narcejac e Pierre Boileau. John Ferguson, detto Scottie, è un agente di polizia che soffre di vertigini. Ciò è causato da un incidente durante un inseguimento sui tetti dei grattacieli di San Francisco: dopo essersi aggrappato ad un cornicione, vede un collega precipitare al suolo nel tentativo di salvarlo. Scottie, traumatizzato, decide allora di lasciare il servizio. Un giorno, un amico lo contatta affidandogli un incarico particolare: sorvegliare la moglie, Madeleine, poiché sembra che la donna sia vittima di ossessioni a causa di un dipinto e dall’immedesimazione con la donna che in esso è ritratta (che Madeleine pensa sia la sua bisnonna, morta suicida), e c’è il timore che questo possa spingerla verso un tentativo di suicidio. Scottie accetta l’incarico, restando affascinato dalla bellezza di Madeleine.

L’opera di Hitchcock riesce a raggiungere il grande pubblico, senza entrare mai in conflitto con Hollywood e le sue regole. Egli inaugura un percorso incentrato sul giallo e sulla suspense in cui colpa, peccato, angoscia, realtà e apparenza acquistano una dimensione più profonda, onirica.

4. I quattrocento colpi (Les Quatre Cents Coups)

I quattrocento colpi (Les Quatre Cents Coups) è un film del 1959 diretto da François Truffaut, il quale inaugura, con questo film, la Nouvelle Vague francese. Per capire bene il significato del titolo, però, dobbiamo sapere che in francese “faire les quatre cents coups” significa “combinarne di tutti i colori”. Infatti, il film racconta le marachelle di Antoine Doinel (Jean-Pierre Léaud), un bambino di dodici anni che vive a Parigi. Antoine è un bambino un po’ particolare: non ama studiare, non ama fare ciò che fanno i suoi compagni di classe, piuttosto vorrebbe girare per la città, conoscere nuovi luoghi, frequentare nuovi posti. Inoltre, la situazione in casa non aiuta a causa delle particolari vicende dei suoi genitori e del fatto che, secondo Antoine, i genitori non possono capire l’età dell’infanzia. Quindi, Antoine è spinto dal desiderio di libertà e dalla rabbia repressa verso i suoi genitori a combinarne di tutti i colori. Truffaut risulta essere l’alter ego del regista francese, egli, attraverso questo film, racconta la sua vita spogliandosi completamente e mettendo in scena sé stesso. Infine, il film si chiude con la scena finale memorabile che inquadra in un fermo immagine lo sguardo pieno di dolore di Antoine verso lo spettatore.

5. La dolce vita

La dolce vita è un film del 1960 di Federico Fellini. Il protagonista è Marcello (interpretato da Marcello Mastroianni), un giornalista partito da Cesena e arrivato a Roma, che vaga in una Roma fulgida e struggente, festaiola e divina. L’uomo è in crisi, incapace di realizzare il proprio desiderio di diventare uno scrittore e deve accontentarsi di essere un giornalista che segue la vita notturna. Il film mostra anche la modernizzazione dell’Italia enfatizzando l’atmosfera Internazionale di Roma. Una caratteristica del cinema di Fellini è la messa in scena del personaggio come spettatore: è un eroe passivo, che non agisce. Inoltre, La Dolce Vita è un film sulla spettacolarizzazione della vita moderna, è molto legato alla messa in scena di una Roma sempre più dominata dalle dinamiche del mondo dello spettacolo, in cui l’apparenza vale molto di più della realtà delle cose. È un film anti-neorealista ma ancora legato al racconto del mondo esterno, della società, della modernità che investe l’Italia negli anni ’50 e ’60.

6. Taxi driver

Taxi Driver è un film diretto da Martin Scorsese del 1976, ambientato a New York, in seguito alla guerra del Vietnam. Il protagonista, Travis, interpretato da Robert De Niro, soffre di insonnia e per questo decide di lavorare come tassista di notte. Vive la sua condizione di solitudine in isolamento dopo il suo ritorno dal Vietnam, che è stata una ferita per molto tempo aperta. È un uomo disadattato e paranoico che si muove sullo sfondo di una città notturna e inquietante. Attraverso lo specchio retrovisore del suo taxi, Travis guarda una società devastata dal degrado, un mondo in cui vive ma dal quale è assente. Si innamora di una ragazza di nome Betsy, rappresentata quasi come una figura angelica, archetipo della donna angelo; egli cerca di avvicinarla in tutti i modi ma non ci riesce, e le cose tra i due non vanno bene. Altro personaggio femminile è Iris, una prostituta che lui in qualche modo vuole salvare. Inoltre, la voce over si propone come una lente oggettiva su una realtà che Travis non riesce a leggere.

È in assoluto uno dei capolavori della New Hollywood, processo di ridefinizione dell’industria cinematografica americana che avvenne negli anni ‘60 e che si spinse fino agli anni ‘80, una vera e propria rivoluzione in cui si affermarono nuovi temi, nuovi generi e nuovi modelli di attori, senza rompere, però, completamente col passato. Dunque, la New Hollywood è caratterizzata da questo equilibrio tra innovazione e continuità, motivo per il quale Taxi driver è considerato un vero cult del cinema.

 

Fonte immagine: Pixabay

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