Intervista a Domenico Brancale, vincitore del Premio Napoli 2023

Domenico Brancale

A Dicembre 2023 si è tenuto il Premio Napoli, i finalisti e vincitori con tutte le mansioni speciali sono stati: Silvia Ballestra, Domenico Brancale ed Egidio Ivetic. La giuria tecnica e la giuria dei lettori ha reso la 69a edizione del Premio entusiasmante e scoppiettante. 

Il Premio Napoli è un riconoscimento per la cultura e la lingua italiana nato nel 1954 e organizzato dalla Fondazione Premio Napoli.  La Fondazione Premio Napoli è un Ente morale, costituito nel  giugno 1961. Lo scopo della Fondazione è quello di incoraggiare la produzione culturale italiana e, soprattutto, di favorire la lettura e il dibattito culturale e civile nella città, nella provincia e nell’intera area regionale, disponendole e incoraggiandole, con adeguati strumenti organizzativi, al dialogo con il resto del mondo e, in particolare, con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Promuove la ricerca nel campo della letteratura e, in generale, delle scienze umane e sociali e si adopera per la promozione dell’immagine internazionale della città di Napoli e dell’intero territorio Campano.

I finalisti della 69esima edizione del Premio Napoli, sono stati presenti al Campania Libri Festival ad ottobre. Il Premio, articolato nelle tre sezioni Narrativa, Poesia e Saggistica, ha avuto come tema quest’anno Il Mediterraneo, «un luogo dello spazio e dello spirito, scenario delle grandi sfide del presente, dall’ambiente alle migrazioni» come lo ha definito Maurizio De Giovanni, presidente di Campania legge – Fondazione Premio Napoli. 

La giuria, presieduta da Alfredo Guardiano, ha scelto tre volumi per ogni categoria. Tra i vincitori nella giornata del 19 dicembre, nella categoria Poesia, Domenico Brancale. La premiazione del Premio Napoli, che si è tenuta il 19 dicembre al teatro Mercadante. Quasi come una premonizione il tema di quest’anno è stato Il Mediterraneo. Anche in questo l’edizione 2023 del Premio Napoli ha dato voce ad istanze mai sopite nella nostra coscienza ma soprattutto, alla luce dei fatti accaduti, ha dato voce ad un tema particolarmente attuale. Insomma un premio che sta cercando una connotazione più vicina ai tempi che cambiano ed alla diversa funzione che la letteratura, in tutte le sue forme, anche quelle più recenti, deve assumere per incidere sulle coscienze.

Domenico Brancale è nato a Sant’Arcangelo, in provincia di Potenza, nel 1976. È poeta e traduttore; tra i suoi libri: L’ossario del sole, Incerti umani, Per diverse ragioni, e Dovunque acqua sia voce (Edizioni degli animali) vincitore del Premio Napoli.

Come cita l’inserto culturale di Repubblica: «Domenico Brancale è un poeta che ha curato un numero considerevole di libri, nonché collaborazioni e curatele nell’ambito delle arti visive. Poetare, associare parole a immagini, recitare, sono tutte componenti dell’esperienza creativa di Brancale.»

Scrivere, in particolare poesia, è un modo di riconoscere la metamorfosi dell’io, il mutarne del significato e dell’identità. «Scrivere è vedere il tuo corpo. Bisogna accettare questo stato di continuo mutamento per scoprire il proprio volto, come Narciso che, oggetto di metamorfosi, si specchia nell’acqua. Accettare le varianti significa prendere coscienza di una condizione infinitamente provvisoria, significa abbandonare la propria identità per un’altra in grado di garantirci il corpo della morte».

Premio Napoli : intervista a Domenico Brancale

È evidente, lampante, l’adesione convinta e incondizionata alla concezione “finita” della scrittura, nel volume di aforismi Dovunque acqua sia voce, di Domenico Brancale edito in Italia da Edizioni degli animali (2022), con illustrazioni dell’artista spagnolo Miquel Barceló.

Come è nato il libro “Dovunque acqua sia voce”? Perché proprio questo titolo?

“Nella carne facciamo prova di noi stessi / che tutto è infinito sul punto di finire”, non c’è parte della mia scrittura in cui non faccio i conti con questi versi. Del resto non puoi scorgere l’infinito senza conoscere la fine. C’è nell’istante della parola un respiro che proviene da un prima e da un dopo, da un sempre.

Nel libro “Dovunque acqua sia voce” ho tentato in tutti i modi di mettermi in ascolto dell’inascoltato, di quello che rimane ai margini. Ho lasciato che la parola vivesse oltre la mia misura, che si accordasse a quell’istante. La nascita di un libro ha radici nel segreto che ci protegge. Certo, ci sono circostanze che hanno dato il la per cominciare, e l’acqua in questo caso è la fonte, o sarebbe meglio dire la nota su cui intonare tutte le parole. Ma non volevo parlare dell’acqua, al massimo, parlarla. La sua presenza si avverte in tutto il libro fin nella sua assenza-mancanza. La scelta del titolo ne è la testimonianza che riprende il verso di un testo che si trova nel capitolo “Da nessuna parte mai”:
Dovunque acqua sia voce
quello che sei a partire dalla riva del corpo
la piena dei silenzi dispersi in fondo alla gola
e grida, grida di pietra
nell’attesa, quando si fa greto il tempo della tua memoria.

Ad ogni modo nel 2020 avevo pubblicato una plaquette nella collana fotocopie della libreria Modo Infoshop di Bologna, intitolata “Mal d’acqua”, era l’inizio, è sempre stato l’inizio. Era un grumo, ma non era solo. Non si bastava. E così ho riaperto i quaderni per cercare tra le pagine, perché una voce non smette mai di chiamarti. Il libro ha avuto altri due momenti decisivi: l’incontro con l’editore Riccardo Corsi che ne ha seguito attentamente l’evoluzione e la collaborazione con l’artista Miquel Barceló che con i suoi acquerelli ha creato all’interno del libro quei silenzi di luce che solo l’immagine può concedere.

Come riportato nella Nota dell’autore: «Questi testi sono scarti, schegge, frammenti, trucioli, segatura, polvere, tutto ciò che di solito viene raccolto e buttato via dall’artista dopo aver scolpito la sua opera».

L’opera è frutto di una serie di riflessioni quindi, puoi esporre il tuo pensiero in poche parole?

Mi riallaccio a ciò che dicevo prima, a quel dare ascolto all’inascoltato, a ciò che il più delle volte riteniamo poco rilevante. Parlo di tutti quegli appunti che prendo, giorno dopo giorno, nei quaderni e che sono in un certo senso una sorta di incipit per le mie poesie, delle parole sussurrate all’orecchio da chissà quali voci che non posso fare a meno di ascoltare. Ebbene mi sono reso conto che questi appunti, nella loro incompiutezza, avevano una propria voce ben definita. Ho avuto la stessa impressione come dinanzi ai frammenti presocratici. Mi ritrovavo a che fare con una serie di testi in cui senza volerlo avevo attraversato la soglia della mia vita. Per un attimo ho intravisto tutto ciò che mi manca. Forse a pensarci bene sono proprio le cose più insignificanti, quelle a cui non diamo importanza, quelle cadute nell’oblio, ad averci veramente formati. Del resto la vita che conta è quella che non puoi raccontare… credo l’abbia detto Carmelo Bene da qualche parte.

Cosa ne pensi della scrittura?

Non c’è nulla di più incerto che scrivere poesie. Che cosa mi spinga a farlo per lo più rimane oscuro fin quando la poesia non è stata scritta. Che la si chiami ispirazione, richiamo, necessità, inconscio non conta veramente. Quando scrivo mi sento parlato da qualcosa e spero di vivere sempre questa condizione. La parola è in cammino in cerca di un’altra parola, a volte mi sento soltanto come un corridore nella staffetta ma non c’è un traguardo da raggiungere se non nel passare il testimone. Scrivere è tradurre il proprio respiro, è farsi voce di qualche cosa che va oltre noi, qualche cosa che appartiene anche all’altro, a un io sconosciuto che parla la nostra stessa lingua. E qui non parlo dell’italiano, il francese o il “papuano”, la lingua a cui mi riferisco è quella del silenzio, quella che attraversa il sangue di ogni creatura. La scrittura è un mestiere d’ignoranza, bisogna lottare contro tutto ciò che conosciamo.

Ci sono molti modi per provare a parlare del libro Dovunque acqua sia voce e non si sta necessariamente parlando di modi di vento e di terra, perché, se è pur vero che nel libro dominano acqua e fuoco – «Numerose poesie bruciano in fondo all’acqua» è la citazione, dall’interno del volume, questo non toglie che la “voce” sia un fatto di anima/ánemos, dunque alito di vento, e trovi, sempre, radice materiale, in un corpo. Questo, lo sai e lo proponi di continuo nel libro, detto ciò qual è l’alchimia che c’è tra il testo e la voce?

Non c’è stata che lei nella mia vita, la voce. Non averla mai ascoltata. Averla soltanto parlata. La voce è sempre stata al centro del mio lavorìo. Nel libro torna e ritorna questo pensiero. Torna ogni qualvolta scrivo. Non c’è parola senza voce e non c’è voce senza parola. Entrambe incarnano un corpo, ma l’alchimia è possibile grazie al verso, e se nel verso c’è musica allora è possibile che risuoni. La musica viene prima, non ha bisogno di traduzioni, è l’incarnazione perfetta, riesce a far vibrare anche un ramo morto. Ecco perché la voce diventa la prova schiacciante per ogni testo. In effetti quando leggo dei miei testi davanti a un pubblico lo faccio prima di tutto per provare a mestesso se sono ancora vivi. La voce è la mano di San Tommaso nel costato della parola, se vuoi dimostra tutta la mia fragilità di fronte al mistero della poesia. Ma sai, non sì è mai al sicuro nella parola…

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