Aruspicina (disciplina etrusca) o interpretazione della volontà divina
I Romani chiamavano “Etrusca disciplina” l’insieme dei riti, delle cerimonie e delle conoscenze che costituivano la scienza sacrale degli Etruschi. In particolare, la scienza degli haruspices era svolta da esperti sacerdoti e consisteva nella pratica dell’arte divinatoria dell’aruspicina: esaminare gli organi interni degli animali per scorgerne i presagi divini.
L’aruspice o “esaminatore delle viscere”, accompagnando il rito con una preghiera, sacrificava l’animale, ne estraeva l’organo per analizzarne i segni. La forma, il colore e l’aspetto saranno la chiave di volta per il presagio.
Aruspicina: origini e tecniche
Il mito etrusco narra che Tarconte (figlio di Telefeo e comparso nell’Eneide come capo degli etruschi e come fondatore della Tarquinia, una delle più potenti città etrusche) già istruito nell’arte dell’aruspicina, stava arando i campi nei pressi del fiume Marta in Tarquinia, quando vide una zolla di terra innalzarsi e assumere le sembianze di un fanciullo. Era Tagete, un ragazzo dalle virtù e dalla saggezza sconfinate tanto che veniva rappresentato con i capelli bianchi. Tagete tramandò i segreti della scienza sacrale al popolo dell’Etruria che si impegnò a riscrivere tutti i suoi insegnamenti nella lingua patria in tre libri: gli Aruspicini, i Fulgurali e i Rituali.
Nella concezione religiosa etrusca vi era una stretta relazione tra macrocosmo e microcosmo: la terra è un riflesso dell’ordine divino che è in cielo. Proprio per questo motivo la ripartizione della volta celeste si rifletteva anche sui singoli elementi terrestri, tra cui appunto, gli organi interni degli animali. L’esame delle viscere svolto dagli aruspici, oltre che su organi come l’intestino, si focalizzava soprattutto, se non esclusivamente, sull’analisi del fegato. Il fegato veniva ripartito in varie sezioni, ognuna delle quali corrispondeva a una certa divinità ed aveva quindi il proprio significato, positivo o negativo. Ognuna delle due facciate del fegato presentava un suo centro, una sua destra e una sua sinistra dove destra e sinistra erano rispettivamente segno di buono e cattivo auspicio.
Del fegato contavano anche il colore e l’aspetto: se questo aveva un cattivo aspetto, delle anomalie, delle malformazioni o segni di malattia e di cattive influenze esterne si poteva parlare di segni “fortuiti” e quindi di una volontà nefasta.
L’esempio più esplicativo e raffigurativo dell’arte dell’aruspicina è il Fegato di Piacenza, detto più semplicemente fegato etrusco: la lettura può essere rimandata a quella di una mappa in riferimento ai suoi punti cardinali. Rivolgendosi con le spalle verso il nord, si aveva alla propria sinistra la parte orientale che era di buon auspicio e alla propria destra quella occidentale di cattivo auspicio.
La scienza degli aruspici: dagli etruschi ai romani / greci
La scienza degli aruspici affonda le sue radici nella cultura etrusca e fu successivamente adottata dai romani. I testi che costituivano la letteratura sacra, nota come Etrusca disciplina, furono tradotti in latino da due personaggi romani di spicco: l’aruspice Tarquizio Prisco e Aulo Cecina. Tuttavia, questi testi furono distrutti nel IV secolo d.C. da Teodosio e Onorio, che ne ordinarono la distruzione, nonostante fossero custoditi nel Tempio di Apollo Aziaco sul Palatino sotto il governo di Augusto.
Le popolazioni romane, infatti, furono fortemente influenzate dalla cultura tuscanica, anche prima della conquista romana dell’Etruria. Gli aruspici, figure religiose che interpretavano i segni divini, continuarono a essere consultati durante tutto l’Impero Romano. Molti oggetti tipicamente etruschi, come il lituus, uno strumento rituale usato per tracciare segni divini e come tromba di guerra, furono adottati anche dai romani.
Esiste però una distinzione tra l’arte sacra etrusca e quella romana. Mentre gli etruschi interpretavano l’aspetto delle viscere (che potevano essere ancora nel corpo dell’animale o già estratte) per scoprire la volontà divina, i romani non cercavano solo di scorgere i segni della divinità, ma si concentravano sull’aspetto normale o anomalo dell’organo, per predire la buona o cattiva riuscita di un’azione (attraverso le hostiae consultatoriae). La stessa differenza emergeva nella scienza fulgurale: se gli etruschi vedevano nei fulmini la manifestazione diretta della volontà divina, i romani li interpretavano come presagi, che potevano essere sia favorevoli che contrari.
In effetti, la disciplina dell’aruspicina, sebbene praticata anche in altre civiltà come quelle ittite, mesopotamiche, greche e siriane, ha avuto una forte connotazione autoctona, specialmente in riferimento a leggende come quella di Tagete, che ha arricchito il patrimonio mitologico delle divinazioni nell’antichità. Oltre a queste pratiche rituali, la divinazione nei secoli ha visto l’emergere di altri metodi, alcuni legati agli oggetti e agli elementi di uso quotidiano, come la lettura dei fondi di tè, della birra, del vino e dei cristalli. Questi metodi hanno avuto il loro spazio anche nelle culture romane e greche, che spesso li consideravano strumenti per entrare in contatto con il divino, interpretando i segni che si manifestavano nella vita quotidiana.
La lettura dei fondi di tè, per esempio, ha radici in antiche tradizioni turche e arabe, e si diffusa in Europa come una pratica divinatoria simile alla caffeomanzia, ma con il tè al posto del caffè. La lettura della birra e del vino era utilizzata in vari contesti rituali per interpretare i segni del futuro, analizzando la forma e i movimenti dei liquidi nel bicchiere. Allo stesso modo, la cristallomanzia (lettura dei cristalli) ha radici nella tradizione egizia e si sviluppò nell’antichità come uno strumento per predire eventi futuri attraverso la disposizione e la forma delle pietre preziose.
Così, la scienza degli aruspici, insieme ad altre pratiche divinatorie, ha avuto un impatto profondo sulla cultura e sulle credenze dell’antichità, influenzando anche le generazioni successive nel tentativo di comprendere i misteri del destino e dell’universo.
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