Gli scavi di Pompei: una eco dal passato

scavi di Pompei

Gli scavi di Pompei: una eco dal passato

Gli uomini di ogni era si svegliano al mattino pianificando la giornata inconsapevoli di ciò che il Fato ha per loro deciso: il buon contadino, richiamato dai raggi del Sole, leva le sue membra rinvigorite dal riposo dal caldo giaciglio per arare vigorosamente il suo florido orto; il ricco mercante consumando la sua colazione abbondante riflette sui fortunati affari che sta di li a poco per concludere; gli amanti riposano, dopo una lunga notte di passione, l’una tra le calde braccia dell’altro e si sussurrano agli orecchi dolci parole e promesse d’amore. A “Pompeii”, come era chiamata dai Romani, questi potevano essere spaccati di vita di uomini e donne che cominciavano una giornata che sarebbe però passata tristemente alla Storia.

Già nel 62 d. C. Pompeii fu devastata da un violento terremoto, ma fu poi nell’estate del  79 che il Vesuvio, per circa due giorni, come si evince dalle lettere inviate da Plinio il Giovane allo storico Publio Cornelio Tacito, riguardo la scomparsa in seno al desiderio di conoscenza di suo zio Plinio il Vecchio, ricoprì di cenere, lapilli e lava le città limitrofe dell’area vesuviana. Non erano le prime scosse di terremoto che la Campania sopportava, ma quelle che precedettero la colonna di fumo nero che diede inizio all’eruzione del 79 d. C.  «assunsero una tale veemenza che il tutto sembrava non muoversi, ma capovolgersi» (II lettera di Plinio il Giovane a Tacito). Gli  scavi archeologici che riportarono alla luce le città da allora scomparse cominciarono solo nel 1748 per il volere di Carlo III di Borbone in seguito ad alcuni ritrovamenti dell’antica Ercolano (Herculaneum per gli antichi romani), anch’essa vittima, come Pompei, della furia della terra: dopo quasi 1700 anni la città di “Pompeii” vide nuovamente la luce.

Scavi di Pompei, un museo a cielo aperto

Numerosi, oltre affreschi, mosaici e statue, sono i ritrovamenti di oggetti di uso quotidiano, custoditi al Museo Archeologico nazionale di Napoli, che consentono di comprendere lo stile di vita degli antichi pompeiani ed anche gli usi ed i costumi della società dell’antica Roma in generale; vi sono inoltre i ritrovamenti   di abitazioni, le lussuose ville d’otium, ossia costruzioni in luoghi lontani dal trambusto cittadino nelle quali coesistevano il riposo dal negotium ed il lavoro agricolo; vi sono poi le abitazioni costruite in città, dalle grandi domus alle umili pergule; ben lontani de esse vi sono poi gli edifici pubblici, il più importante di questi è sicuramente il Foro; non mancano i luoghi di intrattenimento e divertimento, come l’Anfiteatro e le Terme Suburbane; infine si ritrovano i maestosi templi religiosi, come quello in onore del dio Apollo o della dea Venere, e le necropoli, generalmente situate, per ragioni igieniche e per superstizione, al di fuori della città ed in tali cimiteri si possono ancora leggere i numerosi epitaffi di persone che esortavano i vivi a non sciupare la vita che fugge via:  «Nulla siamo e fummo mortali. Tu che leggi, rifletti: dal nulla ripiombiamo rapidamente nel nulla.»

Di tutti questi reperti però ciò che più muove a commozione sono i calchi in gesso delle persone ricavati dal vuoto lasciato dai corpi ormai dissolti nel materiale vulcanico che solidificandosi  ne aveva acquisito la forma. Essi testimoniano, con gesti immobili ed espressioni mute, i loro ultimi drammatici istanti disperatamente vissuti stringendo a loro i propri cari magari rassicurandoli che tutto sarebbe finito presto oppure chiedendo clemenza agli Dèi. Mai si saprà veramente come ciascuno ha vissuto la propria fine, ma, nonostante le epoche che separano il mondo odierno da uno tanto lontano nel tempo ma così vicino negli usi e spesso anche nei costumi, è possibile trarre un profondo insegnamento da questo evento: passeggiando per le strade in pietra, osservando i brandelli di muri, sedendosi sui gradini dell’anfiteatro di “Pompeii” si possono ancora udire gli echi di un’era lontana in cui senza affanni ogni persona, ricco o povero, uomo o donna, adulto o bambino, era dedito ad una vita di cui si godeva di ogni singolo attimo, un attimo fuggente che una volta passato non sarebbe più tornato.

Noi, uomini e donne “del futuro”, non siamo diversi da loro: la vita, al di la di ogni idea superomistica contemporanea,  può terminare senza preavviso e l’insegnamento lasciato ai posteri  non dalle vittime dell’eruzione del Vesuvio ma anche da tutti gli antichi romani dell’epoca precristiana è quello, come già il poeta Orazio aveva esplicitamente espresso nei suoi scritti, di cogliere l’attimo perché, come accadde nell’estate del 79 d. C. potrebbe, questo, non tornare più.

«Ecco il Vesuvio, poc’anzi verdeggiante di vigneti ombrosi […]. Or tutto giace sommerso in fiamme di tristo lapillo: ora non vorrebbero gli dèi che fosse stato loro consentito di esercitare qui tanto potere.» (Marziale Lib IV. Ep. 44)

Grandi novità e ritrovamenti dagli scavi di Pompei 

Pompei, la città sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., è più viva che mai e continua a sorprendere con sensazionali scoperte; l’ultima in ordine cronologico è stata fatta dal progetto di recupero nell’ambito della Regio V e ha portato alla luce un affresco, nel quale sono perfettamente rappresentati due gladiatori al termine di un combattimento; . 

L’affresco di circa 1,12 mt x 1,5mt, rinvenuto in un ambiente alle spalle dello slargo di incrocio tra il Vicolo dei Balconi e il vicolo delle Nozze d’Argento, ha forma trapeizoidale, poiché collocato nel sottoscala, presumibilmente di una bottega. Si intravede al di sopra della pittura, l’impronta della scala lignea che molto probabilmente decorava un ambiente frequentato da gladiatori, forse una bettola dotata di un piano superiore, destinato ad alloggio dei proprietari dell’esercizio commerciale o come di frequente, soprattutto vista la presenza di gladiatori, destinato alle prostitute.
I due gladiatori sono raffigurati su uno sfondo bianco, delimitato su tre lati da una fascia rossa, nella quale si sviluppa la scena di combattimento. Il primo, appare sulla sinistra, è un “Mirmillone” appartenente alla categoria degli “Scutati” e impugna l’arma di offesa, il gladium (spada corta), un grande scudo rettangolare (scutum) ed indossa un elmo largo dotato di visiera con pennacchi. L’altro, che soccombe all’attacco, è un “Trace”. Gladiatore della categoria dei “Parmularii”, con lo scudo a terra e viene raffigurato con elmo (galea), a tesa larga ed una larga visiera a protezione del volto, sormontato da un alto cimiero.

Scavi di Pompei, le dichiarazione di Massimo Osanna

“La Regio è la V, non molto lontana dalla caserma dei gladiatori da dove, provengono la maggior parte delle iscrizioni graffite riferite a questo mondo.
Nell’affresco ritrovato, di immenso interesse storico e culturale, di particolare interesse è la rappresentazione estremamente realistica delle ferite, come quella al petto del gladiatore soccombente, che lascia fuoriuscire il sangue, bagnando i gambali. Non si sa quale sia l’esito finale di quel combattimento, ma in questo caso, c’è un gesto singolare che il combattente ferito fa con la mano, probabilmente per chiedere venia e implorare la propria salvezza. Un gesto generalmente compiuto dall’imperatore o dal generale per concedere la grazia”. Queste le dichiarazioni del direttore generale degli Scavi di Pompei, Massimo Osanna.

Gli scavi dell’ambiente all’interno del quale è stato rinvenuto l’affresco, devono ancora terminare quindi potrebbe offrire ancora grosse sorprese.
Pompei non smetterà mai di stupirci, con tasselli che emergendo a poco a poco, come un puzzle che pian piano si compone, regalano ogni volta dei meravigliosi pezzi di storia che affascinano sempre più.

Una nuova rivelazione a nel Parco archeologico di Pompei, che si configura come una vera e propria miniera eterna, dall’inesorabile bellezza.

Pompei: una “miniera di bellezza e suggestione”

I lavori di scavo condotti nelle ultime due settimane hanno, inoltre, restituito due corpi integri di due fuggiaschi, due uomini, un patrizio e il suo schiavo, probabilmente, perfettamente conservati.
Ricordiamo che il sito archeologico di Pompei è chiuso al pubblico, secondo quanto stabilito dalle nuove norme previste dal Governo Conte, ma continua a regalare emozioni.
Emozione e soprattutto stupore: duemila anni dopo l’eruzione che rase al suolo il piano superiore di Pompei, il rinvenimento dei corpi di due abitanti della città.

Una scoperta sensazionale che aggiunge enfasi e suggestione ad un sito archeologico così importante e rinomato, visitato ogni anno da milioni di turisti italiani e stranieri.
Grazie alla tecnica dei calchi in gesso, i due corpi sono stati recuperati con la stessa tecnica ideata nel 1863 dall’archeologo Giuseppe Fiorelli ed enormemente affinata.
Del gesso liquido versato sui corpi aiuta a ricostruirne forme e sembianze, restituendo un’immagine che permane nel tempo.

La scoperta, recentissima, ha come sempre suscitato grande stupore in tutti, esponenti del mondo politico e culturale intervenute sulla questione e, tra questi, anche il Ministro dei Beni culturali Dario Franceschini che ha definito il ritrovamento “stupefacente”.

Ovviamente, anche il Direttore del Parco archeologico di Pompei, Massimo Osanna, ha commentato soddisfatto. “È un ritrovamento eccezionale. Le ultime settimane sono state febbrili; abbiamo avvertito la presenza di vuoti nella coltre di materiale piroclastico e da lì la sorpresa dei resti umani. C’erano le condizioni ottimali per provare a ottenere il calco delle vittime, e l’esperimento è pienamente riuscito”: ha dichiarato senza nascondere la propria soddisfazione per l’andamento dei lavori di scavo.

I corpi provengono dalla villa suburbana di Civita Giuliana, sfavillante tenuta di epoca augustea con saloni e terrazze che guardano al mare. È ubicata all’esterno delle mura pompeiane circa settecento metri a nord-ovest.
I due corpi, quasi adagiati con le mani giunte sul petto, sembrano riemergere da una terra addormentata, ma nella quale l’identità storica è molto forte. Un altro tassello importante si aggiunge alla suggestione pompeiana a tutto ciò che inevitabilmente appartiene al patrimonio culturale italiano e non solo della Campania.

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Fonte immagine per l’articolo sugli Scavi di Pompei: Pixabay

 

A proposito di Salvatore Di Marzo

Salvatore Di Marzo, laureato con lode alla Federico II di Napoli, è docente di Lettere presso la scuola secondaria. Ha collaborato con la rivista on-line Grado zero (2015-2016) ed è stato redattore presso Teatro.it (2016-2018). Coautore, insieme con Roberta Attanasio, di due sillogi poetiche ("Euritmie", 2015; "I mirti ai lauri sparsi", 2017), alcune poesie sono pubblicate su siti e riviste, tradotte in bielorusso, ucraino e russo. Ha pubblicato saggi e recensioni letterarie presso riviste accademiche e alcuni interventi in cataloghi di mostre. Per Eroica Fenice scrive di arte, di musica, di eventi e riflessioni di vario genere.

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