L’arte islamica e il divieto di rappresentare il creato

L'arte islamica e il divieto di rappresentare il creato

 Scoprire attraverso l’arte un mondo che non conosciamo davvero.

Pensando al mondo arabo, la nostra mente non può che viaggiare verso quelle terre magiche e misteriose, dove gli odori e i suoni sembrano il motore di una vita scandita da preghiere e vissuta tra i mercati. Parlare di arte islamica, però, è più complicato soprattutto se si considera che essa è strettamente legata alla religione.

Da occidentali del ventunesimo secolo, sentire di cose “spirituali” ci fa pensare a stati inquisitori, che impediscono di esprimersi e di scegliere. In realtà, il fatto che questo modo di fare arte sia così legato alla spiritualità, non fa che renderla estremamente più interessante. D’altronde, così come per l’arte islamica, anche l’arte italiana vanta un periodo in cui la parola d’ordine era religione e per questo non dovremmo scandalizzarci più di tanto.

L'arte islamica e il divieto di rappresentare il creato
Miniatura turca del sedicesimo secolo, raffigurante Muhammad in moschea, Boston, Museum of Fine Arts.

Il mondo islamico, senza dubbio, è strettamente legato alle proprie tradizioni e al rispetto della propria religione, cosa che si rispecchia chiaramente nello spirito artistico. Proprio per questo, nell’arte islamica è assente (in teoria) la rappresentazione antropomorfa, poiché solamente Allah (che nient’altro significa che Il Dio) è in grado di “creare” figure umane e quindi imitare la sua opera sarebbe impossibile. È interessante notare che neppure Allah stesso è stato mai rappresentato, mentre Muhammad (italianizzato in Maometto) viene ritratto con una testa di fiamme e un velo bianco.

L'arte islamica e il divieto di rappresentare il creato
Esempio di arabesco

La questione è, naturalmente, controversa se consideriamo il fatto che le figure umane vengono spesso rappresentate nell’arte del mondo arabo ma mai all’interno delle moschee.

Così come accade per i cristiani, difatti, le regole sono tante e precise, ma non sempre seguite alla lettera. Questo è, dunque, un primo passo per sdoganare l’idea che tutti i musulmani siano taciti esecutori delle regole del Corano ma anche per osservare con uno sguardo diverso quei musulmani dalla spiritualità immensa.

Il “divieto” di rappresentazioni antropomorfe nell’arte islamica non è del tutto esplicito nel Corano, ma riguarda il tentativo di impedire la creazione di altri idoli: Cor. V, 90 «In verità il vino, il maysir, le pietre idolatriche (al-ansab, pl. di nusb, lett. “pietra/stele”) e le frecce divinatorie sono sozzure (rijs), opere di Satana, evitatele». Per ovviare a questo problema, i luoghi sacri venivano decorati con ornamenti floreali, iscrizioni in arabo e motivi geometrici; l’elemento decorativo più famoso era il cosiddetto “arabesco”, dato dall’unione di forme geometriche e calligrafia.

Mshatta, il castello nel deserto: una rappresentazione dell’arte islamica

Emblema del controverso mondo dell’arte islamica è la decorazione della facciata del palazzo di Mshatta in Giordania, uno dei cosiddetti “castelli del deserto”.

L'arte islamica e il divieto di rappresentare il creato
Facciata di Mshatta, oggi conservata al Pergamonmuseum di Berlino
L'arte islamica e il divieto di rappresentare il creato
Particolare della facciata di Mshatta con rappresentazione zoomorfa

Questa facciata decorativa in pietra calcarea presenta dei triangoli decorati al centro da elementi vegetali e zoomorfi: la cosa interessante sta nel fatto che le rappresentazioni animali si trovano solo sul lato sinistro della facciata, poiché il lato destro corrispondeva con la parete della moschea annessa al palazzo.

Con Mshatta, notiamo chiaramente la volontà di evitare le rappresentazioni animali o umane nei luoghi sacri dell’Islam.

La decorazione della parte sinistra è affidata a triangoli, al cui centro è situato un fiore; alla base di quest’ultimo, notiamo delle rappresentazioni di animali ai lati di un vaso. Il motivo decorativo del lato destro è lo stesso, ad eccezione del fatto che gli animali sono assenti e sostituiti da motivi floreali, rispettando così quella tradizione secondo la quale le rappresentazioni della creazione divina non si possono trovare all’interno dei luoghi sacri.

Arte islamica: negli altri Castelli del Deserto

Sono proprio altri castelli del deserto, come quello di Qusayr ʿAmra e Qasr al-Gharbi, a darci ulteriore testimonianza di quanto questo “divieto” sia in realtà circoscritto ai luoghi sacri.

Ma cosa sono i castelli del deserto? Erroneamente noti come castelli si tratta in realtà di palazzi (qusūr, appunto) che venivano costruiti lungo le rotte dei califfi e fungevano da connessione tra il Vicino Oriente e la Penisola; non a caso, al loro interno, era presente anche una sala delle udienze.

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Qasr al-Hayr al-Gharbi, affresco con ballerine e cacciatori

Nella Giordania orientale è di particolare interesse Qusayr ʿAmra, famoso per le rappresentazioni di donne alle terme, di ballerine, di lavoratori e di uomini a caccia. Spostandoci verso la Siria, invece, Qasr al-Hayr al-Gharbi ha altrettante rappresentazioni di volti femminili e maschili, di danzatrici e cacciatori. Da questo ci si rende subito conto  del fatto che il divieto esiste, seppur non esplicito, ma che, come tutti i divieti, è liberamente rispettato o meno.

Conoscere e capire l’Islam è difficile, ma rimanerne affascinati è la cosa più facile che possa accadere e la sua arte è metafora perfetta di questo sentimento contrastante, che può essere risolto solo se ci si libera dal pregiudizio e si osserva con attenzione un popolo grandioso che, in meno di un secolo, è stato in grado di creare uno dei più grandi imperi della storia.

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Qusayr ‘Amra, affresco di donna alle terme

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A proposito di Sabrina Langella

Attualmente studio Lingue e Culture Comparate (Arabo e Spagnolo) presso l’Orientale di Napoli. Ho una passione per arte, danza, teatro e per tutto ciò che sia intreccio tra culture e popoli. Il mio obiettivo è far sì che il mondo guardi con occhi diversi quello “strano popolo arabo”, che di strano in realtà non ha niente, perché in quanto napoletana so cosa significa essere etichettati continuamente; la scrittura e l’arte mi sembrano i mezzi migliori per questo. Amo la mia terra, la metto sempre in tutto ciò che faccio e mi sento in colpa se non ne parlo.

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