Edoardo Bennato e il riscatto di Babele, intervista

Edoardo Bennato

Il protagonista dell’intervista di oggi è Edoardo Bennato.

Prima di arrivare a lui, c’è da dire che il titolo della tesi che raccoglie queste interviste è Il riscatto di Babele. Il perché di questo nome è presto spiegato:

«Tutta la Terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’Oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro – Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero – Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la Terra. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse – Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro. Il Signore li disperse di là su tutta la Terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la Terra e di là il Signore li disperse su tutta la Terra.»
(Gen. 11, 1-9)

La storia della torre di Babele e della confusione delle lingue, raccontata nel testo della Genesi, può rappresentare uno strumento di lettura della nostra società. Ce lo dimostra Zumthor in Babele. Dell’incomputezza attraverso la lettura filologica, quella ermeneutica e politica del mito e recuperando dalla nostra collettività culturale un simbolo fragile e incompiuto e per ciò stesso vivo e aperto. L’autore ci fornisce un’interpretazione delle vicende umane, segnate sia dalla volontà di dominio e dallo scontro, che dalla volontà di apertura verso l’altro e di comprensione della diversità.
La torre di Babele è l’ emblema della confusione, del caos e dell’incomunicabilità. Fa pensare alla stasi, alla mancanza di azione, all’incomunicabilità e alla paradossalità dei dialoghi che rappresentano l’essenza del teatro dell’assurdo di Beckett.
La pluralità dei linguaggi, descrivendo una polisemia dell’essere, proibisce di chiudere il sapere in una gerarchia totalitaria, da ciò la necessità di recuperare atteggiamenti mentali improntati al rispetto e al confronto.

«Un potente istinto spinge la parola umana a tentare il recupero della sua rettitudine e della sua autenticità originarie: lo fa con la profezia, con ogni poesia (se si comprende sotto questo termine l’essenziale delle nostre letterature) o, in maniera forse netta in quanto più corporea, con il canto» scrive Zumthor.

Marcel Proust ci suggerisce che la musica è forse l’unico esempio di quello che avrebbe potuto essere -se non ci fosse stata l’invenzione del linguaggio, la formazione delle parole, l’analisi delle idee – la comunicazione delle anime.

Ebbene, la musica dà un’anima all’universo perché è la lingua di cui serbiamo solo l’armonia. Molta parte della letteratura nasce come supporto a melodie e, viceversa, molte melodie sono state composte appositamente per accompagnare racconti. Spesso, gli stessi autori di opere letterarie sono, al contempo, musicisti o compositori. Si pensi, anche, alla ricerca tesa a scorgere la musica nella parola in autori come D’Annunzio (ne La pioggia nel pineto) o alle onomatopee pascoliane.
Musica e letteratura sono due storie, due forme d’arte differenti, ma oggi, nella Babele che abbiamo ereditato, probabilmente si tratta di un legame più forte che mai.

Edoardo Bennato, intervista

Genere: ROCK AND ROLL, POP ROCK

Edoardo Bennato è un musicista e cantautore campano di Bagnoli. Dopo un’esperienza musicale trascorsa a Londra come busker alla ricerca di nuove sonorità, inizia a esibirsi come one-man-band suonando simultaneamente la chitarra, il kazoo e il tamburo a pedale producendo una propria e originale tendenza musicale direttamente influenzata dai grandi nomi del blues e del rock e contaminata da accenti propri della musica mediterranea.

Cosa ha spinto Edoardo Bennato a interessarsi alla musica?

Mia mamma, nelle lunghe e afose estati bagnolesi, quando eravamo bambini si mise alla ricerca di un insegnante di lingue; era convinta che l’ozio è il padre di tutti i vizi. Incaricò quindi una signora del palazzo dove abitavamo di mettersi alla ricerca di un insegnante d’inglese e dopo una settimana la signora disse a mia mamma che questo insegnante non l’aveva trovato, ma che c’era la disponibilità di un maestro di musica. All’inizio mi trovai con una fisarmonica in mano che passai immediatamente a mio fratello Eugenio, optando poi per una chitarra. Così io, Eugenio e Giorgio componemmo il Trio Bennato… Da qui nacque la mia passione per la musica.

Cosa vuole comunicare attraverso la musica?

Per me fare musica è un’esigenza. Ogni giorno la mia vita è composta di musica ed è stato essenziale anche applicarmi sui testi; non mi è mai bastato mettere insieme parole tanto per comporre una canzone, ho sempre voluto comunicare dei messaggi attraverso i miei brani.

Quanto conta per un musicista avere uno stile riconoscibile?

Lo stile è tutto. Quando ascoltiamo le prime note di band come i Rolling Stones, i Beatles, oppure Dylan, riconosciamo immediatamente il loro stile. E così è stato anche per alcuni italiani, soprattutto per i cantautori.

A cosa s’ispirano i brani delle sue canzoni?

A ciò che mi circonda. Scrivo in genere dei paradossi che sono sotto gli occhi di tutti in modo ironico, cercando di far arrivare il messaggio o la denuncia in modo più diretto e più facilmente assimilabile.

Mi parli del brano che più la rappresenta.

Sono tutti figli miei, non riesco ad avere una preferenza, così come si fa con i figli.

Quanta importanza ha per lei il testo di una canzone rispetto alla musica?

Vale lo stesso discorso.

Cos’è una performance live per lei?

Lo scambio continuo di emozioni fra il palco e il pubblico è un momento vitale della mia esistenza.

Qual è la tappa che lo ha emozionato di più e perché?

Il momento in cui arrivai a Civitanova Marche.
Dopo aver fatto un “colpo di mano”, nel senso che mi misi con tutto il mio “armamentario di follia” in strada – di fronte al Teatro delle Vittorie a Roma – a cantare un paio di canzoni sperando che passassero addetti ai lavori del settore musicale, fui invitato ad un Open Air in quella città (proprio da quegli addetti ai lavori). Salii sul palco che non ero nessuno e scesi con la percezione che la mia vita era cambiata. Gli opinion leaders che erano lì stabilirono che potevo essere il rappresentante ideale dell’insoddisfazione giovanile in Italia. E la gente iniziò a comprare i miei dischi.

Qual è la sua massima aspirazione?

Continuare a fare musica fino a quando avrò qualcosa da dire.

La storia della torre di Babele e della confusione delle lingue raccontata nel testo della Genesi può rappresentare uno strumento di lettura della nostra società. Mi parli del suo brano La torre di Babele.

La torre di Babele la intesi come una fotografia dell’umanità. Non nel senso biblico, ma nel senso dell’evoluzione delle armi, come unico progresso della civiltà umana. Quando feci la copertina del disco non avevo messo quel razzo che sormonta la punta della torre. Fu un’idea di mia madre che disse: devi lasciare una speranza, fosse anche andare su un altro pianeta.

Ringraziamo Edoardo Bennato per quest’intervista interessante e profondamente emozionante.

 

immagine copertina: Facebook

A proposito di Chiara D'Auria

Nata e cresciuta in Basilicata, si laurea in Filologia Moderna presso l’Università Federico II di Napoli. Scrive per abbattere barriere e scoperchiare un universo sottopelle abitato da anime e microcosmi contrastanti: dal borgo lucano scavato nella roccia di una montagna avvolta nel silenzio alle viuzze partenopee strette e caotiche, dove s'intravede il mare. Scrive per respirare a pieni polmoni.

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