Leggende metropolitane horror, le 5 più inquietanti

Leggende metropolitane horror

Storie a metà strada tra fantasia e verità, tra realtà e finzione. Queste sono le leggende metropolitane horror, racconti orali che grazie al passaparola diventano talmente famosi da sembrare reali.

Caratteristica peculiare di questo genere di storie è il loro contenuto misterioso, a tratti macabro e disturbante. Accanto ai racconti elaborati dal folklore di ogni paese se ne sono affiancati altri che nel mondo di internet sono conosciuti con il nome di creepypasta (“creepy”, macabro/pauroso e “pasta” dal verbo “to paste”, incollare).

Dall’immenso e cupo mare di misteri e orrori abbiamo scelto sette leggende horror metropolitane. Se non siete persone facilmente impressionabili armatevi di coraggio e sangue freddo e, ovviamente, spegnete la luce per creare un po’ di atmosfera prima di addentrarvi nella lettura.

Leggende metropolitane horror. Le sette più famose

L’isola delle bambole

Nei pressi di Città del Messico, nella delegazione di Xochimilco, esiste un luogo chiamato dagli abitanti “Isla de las muñecas”, l’Isola delle bambole. Un immenso bosco in cui, appese ad alberi, rami e cespugli vari, giacciono delle bambole.

Ad aver creato questo luogo da brividi è stato il suo unico abitante, Don Julian Santana. Un giorno l’uomo trovò sulle rive di un fiume il cadavere di una bambina e la sua bambola. Per onorare la memoria della piccola vittima decise di appendere il suo giocattolo ad un albero, con la speranza di cacciare via gli spiriti maligni che infestavano l’isola. Tuttavia Don Julian era tormentato da alcune visioni, che lo spinsero a collezionare migliaia e migliaia di bambole che appese da ogni parte dell’isola fino alla sua morte avvenuta nel 2001, quando annegò nello stesso fiume della bambina.

L’instancabile attività dell’uomo ha così dato vita ad un luogo tetro dove i turisti che lo visitano vengono circondati dai sorrisi e dalle facce deformate delle bambole appese, deteriorate, prive di occhi e in posizioni innaturali. Chi ha avuto il coraggio di trascorrere la notte sull’isola ha affermato di aver sentito non soltanto delle voci, ma anche di aver trovato alcune bambole spostate in altre posizioni. Che lo spirito di Don Julian continui a custodire il luogo e le sue amate bambole? O bisogna ipotizzare che queste abbiano una vita autonoma?

Kuchiaske-onna

Dal Giappone proviene una delle leggende metropolitane horror più inquietanti, quella di Kuchiaske-onna.

Si narra che molti anni fa vivesse una donna bellissima, ammirata e amata da molti uomini, moglie di un samurai. Questi, accecato dalla gelosia e dalla paura che lo tradisse, una notte le squarciò la bocca da un orecchio all’altro con la sua katana. Dopo aver compiuto il terribile gesto la umiliò ulteriormente, domandandole chi l’avrebbe trovata bella dopo che era stata ridotta in quello stato. Era nata Kuchiaske-onna, ovvero “la donna dalla bocca spaccata”.

Ben presto circolarono alcune voci secondo le quali la donna vagava per le strade di notte, coperta da una maschera. Se un uomo le capitava davanti lo fermava facendogli chiedendogli: «Trovi che io sia bella?». La donna poi mostrava alla vittima il suo volto deturpato, rivolgendole la stessa identica domanda. Quello che succedeva dopo è avvolto nel mistero. C’è chi dice che se l’uomo rispondeva “no” la donna lo spaventava per poi dileguarsi ridendo istericamente, ma c’è anche chi afferma che in caso di risposta negativa Kuchiaske divorava la sua vittima senza pietà.

Mistero o meno, Kuchisake-onna è una delle tante figure che infesta gli incubi dei giapponesi, ma non è detto che non possa capitare anche a voi di imbattervi in una donna coperta dal velo e pronta a interrogarvi sulla sua presunta bellezza.  State attenti in quel caso e iniziate a correre a più non posso.

Polybius

1981, Oregon, Stati Uniti d’America. In alcune sale giochi locali viene installato il cabinato di Polybius, un videogioco sviluppato da una misteriosa software house: Sinneslöschen (una parola tedesca traducibile come “cancella-mente”).

Il gioco, che risulta essere un clone di Space Invaders, consiste nel guidare una navicella spaziale evitando di entrare a contatto con alcuni oggetti che escono da una stella situata al centro dello schermo. Il tutto avviene su uno sfondo nero costruito con grafica vettoriale, causa di non pochi casi di epilessia.

La faccenda si fa più strana quando ad un certo punto alcuni uomini, con autorizzazione da parte dell’ FBI, entrarono regolarmente nelle sale giochi e iniziarono a smanettare con i parametri dei cabinati di Polybius tramite il menu operatore, ovvero tutto quell’insieme di impostazioni utili al funzionamento della macchina. E fu proprio da quelle visite che la situazione peggiorò: coloro che giocarono a Polybius svilupparono disturbi quali insonnia, depressione e aggressività, nonché attenzione maniacale solo ed esclusivamente per quel videogioco.

Come se non bastasse, attivando alcune impostazioni dal menu operatore era possibile, durante le sessioni di partita, veder comparire sullo schermo alcuni messaggi subliminali. Oltre a volti spaventosi e deformati era possibile leggere dei veri e propri “ordini” nei confronti del giocatore: Surrender (Arrenditi), Obey (Ubbidisci), Die (Muori) e Kill yourself (Suicidati). Improvvisamente, dopo un mese, i cabinati del videogioco sparirono nel nulla.

Il mistero che aleggia attorno a Polybius è privo di non pochi dubbi. La storia è stata da molti smentita e, quando su internet venne diffuso un gameplay del gioco, quest’ultimo fu definito una semplice ricostruzione fatta da un fan. Ma è indubbio che questa vicenda possa essere elevata ad esempio di come ad alcuni individui basti veramente poco per fare il lavaggio del cervello agli uomini fino a ridurli allo stato di burattini da manipolare a proprio piacimento.

Il fantasma di Azzurrina

A Montebello di Torriana, nei pressi della città di Rimini, è presente un castello che ha dato vita ad una celebre leggenda medievale, quella del fantasma di Azzurrina.

Nel 1370 il feudatario Uguccione di Montebello ebbe una figlia che chiamò Guendalina. La sfortuna della bambina fu quella di nascere albina, avendo così i capelli bianchi. Per evitare che venisse accusata di essere una strega, la madre le tingeva quotidianamente i capelli di nero. La chioma però tratteneva a fatica i pigmenti che facilmente si libravano per aria e proprio per questo i capelli assunsero lo stesso colore degli occhi della bambina: azzurri. Da quel momento Guendalina venne conosciuta da tutti con il soprannome di Azzurrina.

Il padre decise così di farla sorvegliare da due guardie, affinché non uscisse di casa e divenisse oggetto dell’ira della superstizione popolare. Tuttavia il giorno del solstizio d’estate del 1375 Azzurrina stava giocando con una palla nel castello di Montebello, mentre fuori imperversava il temporale. La palla cade nella ghiacciaia sotterranea e la bambina scese la scala per andarla a prendere, ma ad un certo punto le guardie che la sorvegliavano sentirono un urlo provenire da quel luogo. La cosa sconcertante fu che di Azzurrina non si trovò il corpo.

La storia, la cui unica testimonianza sembra essere rappresentata da un racconto trascritto da un parroco della zona attorno al 1600, tornò ad essere popolare nel XX secolo. Il castello di Montebello fu infatti aperto ai turisti nel 1990 e durante la notte alcuni visitatori dichiararono di aver sentito la voce e le risate di una bambina. Quando questo avvenne era il 21 giugno.

Ciò spinse i ricercatori del paranormale, tra il 1995 e il 2005, a registrare con determinate apparecchiature i suoni all’interno del castello. Dalle registrazioni effettuate si possono riconoscere effettivamente delle voci umane, ma c’è anche chi pensa che in realtà si tratti di suoni relativi a fenomeni atmosferici. In ogni caso la leggenda del fantasma di Azzurrina, che si aggira nelle stanze del castello di Montebello, affascina e inquieta allo stesso tempo.

Candle Cove

Internet, come abbiamo già detto, rappresenta un porto felice per leggende avvolte dal mistero riunite sotto l’etichetta delle creepypasta. Navigando tra i meandri della rete digitale non è difficile imbattersi in storie che sfiorano l’ambiguo, come in una delle leggende metropolitane horror più celebri del web.

All’interno di una discussione nata all’interno di Reddit, alcuni utenti discutono di un programma per bambini andato in onda negli anni’70: Candle Cove. Stando a quanto si può leggere la trama ruota attorno ad una bambina che diventa amica di alcuni pirati, questi ultimi raffigurati come delle bambole di pezza. Uno di essi in particolare, Percy, era stato assemblato unendo pezzi di vecchie bambole ed era fatto talmente male da sembrare realistico. Ad un certo punto uno degli utenti, che si firma come Skyshale003, afferma che da bambino aveva avuto un incubo riguardante Candle Cove, in cui i pupazzi dello show lo fissavano e urlavano ininterrottamente. Subito però viene smentito da un altro, Kevin_hart, il quale afferma che in realtà il suo incubo corrisponde ad un episodio dello show andato realmente in onda.

La storia si conclude in un modo inaspettato. SkyShale racconta di essere andato a trovare la madre in ospedale e, chiedendole se si ricordasse di Candle Cove, ella resta stupita dal fatto che suo figlio si ricordi ancora di quello che non era un programma televisivo vero e proprio. La madre infatti racconta che quando suo figlio le diceva «Vado a vedere Candle Cove» in realtà non faceva altro che accendere il televisore su un canale che trasmetteva soltanto uno statico e stava lì a fissarlo per 30 minuti.

Il Club 27

Con l’espressione “Club 27” ci si riferisce ad una triste coincidenza ben radicata nel mondo della musica: la morte di noti cantanti ed artisti all’età di 27 anni.

Il primo membro ufficiale di tale “circolo” fu Robert Johnson, importante esponente del Delta Blues, morto di polmonite nel 1938. Nel 1969 fu la volta di Brian Jones, fondatore dei Rolling Stones deceduto (stando ad una versione su cui aleggiano molti dubbi) gettandosi in un fiume dopo aver assunto un mix di alcool e droghe. Un anno dopo toccò a Jimi Hendrix e Janis Joplin, mentre nel 1971 fu Jim Morrison, leader dei The Doors, a morire. Ad entrare poi nel club furono Jean-Michel Basquiat per overdose nel 1988 e Kurt Cobain nel 1994 per suicidio (dopo la sua morte fu coniato dalla stampa il termine “Club 27”) fino ad arrivare alle recenti morti di Amy Winehouse nel 2011 e del ballerino Kim Jong-hyun nel 2017.

Tanti i misteri che alleggiano attorno al Club 27. C’è chi sostiene che le morti siano tutte correlate tra di loro e che facciano parte di un progetto elaborato dai “piani alti” per sbarazzarsi di persone ritenute scomode, così come c’è chi afferma che per via del loro stile di vita sregolato questi artisti avessero già un appuntamento in agenda con la morte. Qualunque sia la verità, non c’è ombra di dubbio nel pensare che alcune volte le coincidenze della vita possano essere davvero inquietanti.

Glommy Sunday

Rezső Seress, noto anche come Rudolf Spitzer, era un compositore ungherese che riscosse successo internazionale grazie alla canzone Glommy Sunday, su cui gira una delle leggende metropolitane horror più celebri.

Conosciuta anche come “canzone ungherese del suicidio”, Glommy Sunday fu scritta e composta da Seress nel 1935. Sembra che egli prese ispirazione dopo essere stato lasciato dalla ragazza, che lo rimproverava per la sua instabilità economica. Seress tuttavia trovò un editore che pubblicò la canzone e finalmente ebbe il tanto agognato successo.

Tuttavia la canzone, tradotta e cantata anche da Billie Holiday e Nilla Pizzi, divenne nota per la sua sinistra fama. Si dice infatti che la triste e cupa melodia inducesse la persona che l’ascoltava al suicidio e dal 1936 ne sono stati registrati diversi casi. Tra i tanti si ricordano quello di una giovane donna berlinese che si impiccò con tanto di spartito della canzone che fu trovato ai propri piedi e quello di una donna inglese che ingerì una pesante dose di barbiturici mentre veniva riprodotta la melodia. Ironia della sorte, lo stesso Seress si suicidò l’11 gennaio 1968 gettandosi dalla finestra del proprio appartamento a Budapest.

 

Fonte immagine copertina: https://pixabay.com/it/photos/fantasia-cupo-paura-gespenstig-2530602/

A proposito di Ciro Gianluigi Barbato

Classe 1991, diploma di liceo classico, laurea triennale in lettere moderne e magistrale in filologia moderna. Ha scritto per "Il Ritaglio" e "La Cooltura" e da cinque anni scrive per "Eroica". Ama la letteratura, il cinema, l'arte, la musica, il teatro, i fumetti e le serie tv in ogni loro forma, accademica e nerd/pop. Si dice che preferisca dire ciò che pensa con la scrittura in luogo della voce, ma non si hanno prove a riguardo.

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