Tyche nel mondo greco-romano: la dea dell’imperscrutabile

Tyche nel mondo greco-romano: la dea dell’imperscrutabile

Il concetto di sorte/fortuna, che nella mitologia greca confluisce nella dea Tyche, varia a seconda del contesto filosofico, religioso o letterario.

La fortuna è interpretabile in senso “prescrittivo”, come concetto soprannaturale e deterministico, in base al quale vi sono forze che determinano il verificarsi di certi eventi, ed in senso “descrittivo”, ovvero in relazione ad eventi che hanno come esito la felicità o l’infelicità. Essa è, pertanto, il motore imprevedibile e incontrollabile delle circostanze, da lei plasmate in modo non razionalmente motivabile, di cui è impregnata ogni cultura. Dai Greci la Tyche, dea della sorte e del caso, è identificata con il fato ed è definita dal termine μοῖρα, dal verbo μείρομαι, “avere in parte”, dal momento che essi ritenevano che a ciascun uomo toccasse in sorte una porzione della sorte umana. Il termine Tyche, invece, ha la radice di τυγχάνω, “accadere”, che conferisce al termine una connotazione di inevitabilità, ben esemplificata da un passo dell’Aiace di Sofocle: «Aiace, mio signore, non c’è per gli uomini un male più terribile della sorte cui non è possibile sfuggire».

La Tyche ne I miti greci di Robert Graves

Menzionata nella Teogonia di Esiodo – opera nella quale il poeta delinea la genealogia delle varie divinità – fra le figlie di Teti e di Oceano, è una delle forze primigenie pre-olimpiche che, esclusa dall’Olimpo omerico, in età arcaica figura per lo più subordinata alle divinità principali. Stando a quanto scrive Robert Graves nel suo celebre volume I miti greci, «Tyche è la figlia di Zeus ed egli le diede il potere di decidere quale sarà la sorte di questo o quel mortale. A taluni essa concede i doni contenuti nella cornucopia, ad altri nega persino il necessario. Tyche è irresponsabile delle sue decisioni e corre qua e là facendo rimbalzare una palla per dimostrare che la sorte è cosa incerta». L’autore, inoltre, aggiunge in nota che si tratta di una divinità “artificiale” inventata dai primi filosofi, la cui ruota rappresentava in origine l’anno solare, come indica il suo nome latino, Fortuna (da vortumna, “colei che fa volgere l’anno”), ed era legata al destino del re sacro, sottoposto a una morte rituale allo scadere della sua buona sorte, allorquando avrebbe dovuto procedere alla vendetta sul rivale che l’aveva soppiantato. Il culto della dea Tyche è attestato in Attica dalla prima metà del IV secolo a.C., giacché il nome Ảγαθὴ τύχη, “buona sorte”, compare sempre più assiduamente nelle iscrizioni, e nel corso del IV secolo esso si formalizza e diventa popolare.

Iconografia e amplificazione del suo ruolo in età ellenistica 

Acquistò invece particolare importanza durante la crisi religiosa dell’ellenismo: Tyche, infatti, rappresentò non soltanto la personificazione del caso, nell’ambito di un pensiero scettico e pessimistico che dubitava delle divinità tradizionali e dei loro interventi provvidenziali, ma anche la forza oscura e sovrana di una divinità superiore a tutte le altre, inaccessibile, reggitrice dei destini secondo un disegno ignoto agli umani. A quest’ultima interpretazione, nettamente mistica, si affiancava quella più laica e storicistica di cui è principale portavoce Polibio: la Tyche può mutare a suo piacere e improvvisamente il corso degli eventi, ma a un esame attento e meditato appare chiaro che essa finisce per favorire coloro che meritano il suo aiuto; i Greci, quindi, non possono attribuire unicamente al capriccio del caso o di Tyche la loro caduta dinanzi ai Romani, poiché questi ultimi possedevano le qualità per ottenere di diritto il favore della sorte. Le ultime tragedie di Euripide e le commedie di Menandro si fondano sulla mutevolezza della Tyche, giacché i protagonisti vi figurano completamente in balia delle vicissitudini della sorte, con cui devono scontrarsi al fine di ristabilire un nuovo ordine, come la dea stessa afferma nello Scudo menandreo: «Sono la dea che arbitra e amministra tutte queste vicende, Tyche».

In special modo nel mondo orientale, Tyche assunse anche le caratteristiche di divinità protettrice di comunità e di città (come Palmira, Antiochia, Alessandria), depositaria della loro buona sorte. Benché nella sua figura domini sempre l’astratto e il concettuale, tipica figurazione della dea, che spesso si sovrapponeva a originarie divinità femminili locali, era la statua della Tyche di Antiochia, scolpita da Eutichide: Tyche vi appariva cinta della corona turrita, con le spighe in mano, il dio del fiume Oronte ai suoi piedi. Tyche appare su molte monete di età ellenistica nei tre secoli prima dell’era cristiana, soprattutto della regione del Mar Egeo; altri frequenti attributi della dea erano la sfera o la ruota su cui essa si ergeva (simbolo del volgere della sorte), il timone, la cornucopia. Vari rilievi ellenistico-romani la raffiguravano insieme con Nemesi o con Pluto. Infine, nel mondo romano, e specialmente in età imperiale, Tyche fu spesso identificata con Fortuna e unita al genio nella sua funzione tutelare

[L’immagine di copertina è tratta da pompeionline.net]

A proposito di Adele Migliozzi

Laureata in Filologia, letterature e civiltà del mondo antico, coltivo una grande passione per la scrittura e la comunicazione. Vivo in provincia di Caserta e sono annodata al mio paesello da un profondo legame, dedicandomi con un gruppo di amici alla ricerca, analisi e tutela degli antichi testi dialettali della tradizione locale.

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