Armi leggendarie: 10 famose da conoscere

Armi leggendarie nella letteratura e mitologia: 10 da conoscere

In questo articolo vi presentiamo una lista di dieci armi leggendarie, più o meno famose, presenti nella letteratura e mitologia di Paesi di tutto il mondo. Buona lettura e buon viaggio nella conoscenza!

Armi leggendarie, le 10 più potenti 

 

10. Excalibur

 

Incominciamo il nostro percorso presentandovi colei che si posizionerebbe certamente al primo posto nell’elenco delle armi leggendarie più conosciute al mondo: la mitica spada di Re Artù, Excalibur. Il suo nome deriva dal gallese caledfwlch (un composto comprendente le parole “duro” e “spaccatura”) e significa “colei che taglia l’acciaio”, mentre l’appellativo caliburn è la versione latinizzata comparsa per la prima volta nell’opera Historia Regum Britanniae, di Geoffrey di Monmouth. Alcune studiosi teorizzano che la spada possa essere ispirata all’altrettanto celebre Caladbolg, appartenuta a Fergus Mac Róich, personaggio del Ciclo dell’Ulster. La leggenda di Re Artù, come molti di voi sapranno, è legata in modo indissolubile ad Excalibur attraverso la profezia data da mago Merlino: soltanto chi fosse stato in grado di estrarre la spada dalla roccia sarebbe divenuto Re d’Inghilterra. Tuttavia, la storiografia e la letteratura ci suggeriscono che Excalibur non fosse in realtà la nota “spada nella roccia”. Infatti, nella Historia Regum Britanniae, la spada Caliburn è descritta come un’arma forgiata nell’isola di Avalon, ma senza alcun potere magico, e la prima narrazione della prova di Artù per estrarre la spada compare nel racconto in versi Merlino di Robert de Boron. Inoltre, in La morte di Artù di Thomas Malory, troviamo nuovamente affermato che Excalibur non sia la spada estratta da Artù, poiché la prima spada posseduta dal futuro re sarebbe andata distrutta in un combattimento contro ser Pellinore. A seguito di ciò, Artù avrebbe ricevuto in dono una nuova arma dalla Dama del Lago, vale a dire Excalibur. L’equipaggiamento leggendario di Artù e della sua Tavola Rotonda non si esaurisce con la sola Excalibur, anzi, egli avrebbe avuto numerose altre armi, passate anch’esse alla storia: la spada Clarent (rubata dal malvagio Mordred), la lancia Rhongomyniad, il pugnale Carnwennan e il fodero di Excalibur, che avrebbe avuto proprietà rigenerative.

 

9. Durandal

 

La Durandal (o nella traslitterazione italiana Durlindana) è anch’essa fra le armi leggendarie più conosciute a livello internazionale. Si narra che essa fosse appartenuta al nobile e paladino dell’imperatore Carlo Magno, Orlando, celebre figura del Ciclo Carolingio. L’origine etimologica del nome Durandal è quasi impossibile da rintracciare, ma esistono varie ipotesi vagliate dagli studiosi nel corso degli anni. La filologa belga Rita Lejeune propone che esso possa derivare dall’unione dei termini durant e dail, i quali insieme significherebbero “falce forte, dura, resistente”; il linguista tedesco Gerhard Rohlfs, invece, propone il composto di dur ed end’art, che sarebbe “fiamma potente”. Altre etimologie riprendono il Bretone diren dall (“lama che smussa il tagliente”) e l’Arabo Ḏū l-jandal (“padrone della pietra”). Nella Chanson de Roland, si racconta che la Durandal sia stata donata ad Orlando da Carlo Magno, il quale l’avrebbe a sua volta ricevuta direttamente da un angelo. Nella sua elsa sarebbe contenuto un dente di San Pietro, del sangue di San Basilio, dei capelli di San Dionigi e un frammento di veste della Vergine Maria. Nel poema, Orlando, combattendo nella battaglia di Roncisvalle contro i Baschi, è ferito a morte e tenta di distruggere la spada contro una pietra, per evitare di farla cadere in mano nemica; ma la Durandal, assolutamente indistruttibile, viene nascosta sotto il suo corpo insieme all’olifante utilizzato per avvertire Carlo Magno. Invece, nella tradizione italiana con i poemi l’Orlando innamorato di Boiardo e l’Orlando furioso di Ariosto, la Durandal avrebbe avuto come primi possessori persino Ettore di Troia e la regina delle Amazzoni Pentesilea.

 

8. Ama no Murakumo o Kusanagi no Tsurugi

 

Fra le armi leggendarie della mitologia giapponese, la spada Kusanagi è per certo la più famosa. La sua storia si muove all’interno del labile confine fra realtà e mito, come avviene di frequente per molti oggetti o personaggi divenuti famosi nella terra del Sol Levante, e in particolare per la Kusanagi, la quale ha origini antichissime. La troviamo citata per la prima volta nel Kojiki, primo testo di narrativa giapponese pervenutoci, ma è menzionata anche nel Nihonshoki. Il Nihonshoki sarebbe più attendibile dal punto di vista prettamente storico, dato che in esso sono spesso raccontati eventi contemporanei o vicini alla sua stesura. Nel Nihonshoki è detto che la spada Kusanagi fu spostata dal palazzo imperiale nel 688 e trasferita a Nagoya, nel tempio di Atsuta. Non sappiamo per certo quanto questo possa corrispondere a realtà, ma di sicuro la leggenda dietro la Kusanagi affascina ancora oggi tantissime persone. Ci troviamo agli albori del Giappone e una famiglia della regione di Izumo supplica il dio delle tempeste Susanoo di salvare l’ultima delle loro sette figlie, Kushinada, perché donate in sacrificio al mostro serpente a otto teste Yamata no Orochi. Innamoratosi di Kushinada, Susanoo decide di salvarla. Prima che arrivi Orochi a reclamare il proprio dono, Susanoo trasforma la ragazza in un pettine e dispone otto barili di sake fuori la casa della famiglia. Orochi beve di buon grado il sake, ma naturalmente finisce per ubriacarsi e tutte le sue teste si addormentano fra i fumi dell’alcol. Susanoo approfitta del momento propizio e uccide il mostro tagliando ognuna delle teste. Una versione della leggenda vuole che la Kusanagi fosse racchiusa all’interno del corpo di Orochi, mentre un’altra narra che fu la sorella di Susanoo, la dea del Sole Amaterasu, a donare all’eroe l’arma. Il nome della spada può essere tradotto sia come “spada del serpente”, che come “spada falciatrice d’erba”. Quest’ultimo appellativo deriva da un episodio sempre narrato nel Kojiki, vale a dire la spedizione di Yamato Takeru contro gli Emishi. Per sfuggire ad un incendio appiccato da un signore della guerra nemico, Takeru si sarebbe fatto strada fra i terreni infuocati falciandoli, appunto, con la Kusanagi.

 

7. L’arco di Ulisse

 

Continuiamo il nostro viaggio fra le armi leggendarie parlando di un mito molto caro alla cultura mediterranea, cioè l’Odissea. Nel libro XXI dell’Odissea di Omero, è narrata la prova a cui Penelope sottopone scaltramente i Proci, mettendo come posta in gioco la sua mano e quindi il diritto a prenderla in moglie, qualora uno di loro fosse riuscito a scoccare una freccia con l’arco, appartenuto ad Ulisse, attraverso dodici anelli. Come è ampliamente noto, nessuno dei Proci usurpatori esce vincitore dall’impresa, anzi, nessuno di essi è nemmeno in grado di tendere la corda dell’arco. Ulisse giunge a Itaca e, dopo essersi infiltrato a palazzo sotto mentite spoglie, decide di partecipare alla prova. Davanti agli sguardi sbalorditi dei presenti, il misterioso mendicante scocca una freccia che attraversa tutti e dodici gli anelli piantati per terra e si rivela ai Proci come Odisseo, il legittimo sovrano di Itaca. Con il medesimo arco, egli inizia la strage dei Proci e di tutti gli abitanti che l’hanno tradito, con l’aiuto di Telemaco, la dea Atena e altri fidati servitori. Il motivo che si cela dietro il totale fallimento dei Proci sarebbe da imputare proprio alla forma del mitico arco di Ulisse. Esso, costruito in corno di cervo, sarebbe un arco di tipo scitico, quindi in uso presso gli Sciti, un popolo nomade dei territori turchi. L’arco scitico ha una forma decisamente particolare, soprattutto se siamo abituati ad immaginare come arco un semplice pezzo di legno ricurvo con una corda da tendere: la forma di sigma maiuscolo o di semicerchio con le estremità verso l’esterno, obbligava l’arciere a tendere la corda al contrario rispetto a come in genere avviene, quindi all’interno dell’arco; inoltre, grazie all’estrema flessibilità di queste armi, la corda poteva essere tesa fino a sfiorare la spalla o l’orecchio dell’arciere, mentre gli archi greci permettevano all’estremità della freccia di toccare soltanto il petto.

 

6. Lancia di Longino

 

La Lancia di Longino, o anche chiamata Lancia del Destino, è una delle armi leggendarie più importanti della tradizione cristiana. Infatti essa sarebbe la lancia con cui Cristo fu trafitto al costato mentre si trovava crocifisso, quindi è considerata a tutti gli effetti una reliquia sacra dai fedeli. Spesso è chiamata anche Lancia Sacra, tuttavia essa sarebbe in realtà un oggetto diverso dalla Lancia di Longino, e apparterrebbe ai tesori del Sacro Romano Impero. Nel vangelo secondo Giovanni è menzionato l’episodio della lancia (ma non il nome di Longino) ed egli dice che fu attuato per constatare l’effettivo decesso di Gesù sulla croce, visto che i soldati romani ritennero inutile praticargli il crurifragium (atto dello spezzare le gambe del condannato per velocizzarne la morte sulla croce). Il riferimento più antico alla conservazione della lancia come reliquia ci arriva dal testo Itinerarium Antonini, attribuito ad Antonino da Piacenza, in cui afferma che nella Basilica sul Monte Sion vi sia conservata la lancia. Un’ulteriore menzione della lancia si trova nel Chronicon Paschale: per impedire all’impero sasanide di entrare in possesso della lancia, essa fu privata della punta in ferro e quest’ultima venne portata a Costantinopoli, per poi essere riposta in Hagia Sophia. In seguito essa fu donata, all’interno di un’icona, al re Luigi IX di Francia dall’imperatore cattolico Baldovino II e deposta nella Sainte-Chapelle di Parigi insieme alla corona di spine. Le tracce di entrambe le reliquie si sarebbero perse durante la Rivoluzione francese. Il nome di Longino compare per la prima volta nel vangelo apocrifo di Nicodemo.

 

5. Mjöllnir

 

Facciamo un salto verso l’estremo nord dell’Europa e andiamo alla scoperta del celeberrimo Mjöllnir. Conosciuto anche come Martello di Thor, esso è una delle armi leggendarie attribuite al dio del fulmine e del tuono della mitologia norrena. Il nome Mjöllnir significa “frantumatore” ed è composto dal verbo in norreno antico mjöll (frantumare) e –nir, suffisso aggettivante. Altre ipotesi invece sostengono che il termine derivi da vari termini utilizzati nella lingua proto-norrena e russa, i quali significavano “fulmine” o “creatore di fulmini”. Secondo l’Edda di Snorri Sturluson, il martello fu forgiato dal nano Sindri al fine di vincere la disputa con Loki su chi potesse creare l’arma migliore per gli dèi. Il significato teologico e simbolico del Mjöllnir si avvicina a quello del Vajra vedico e della svastica (per via del movimento rotatorio con cui era brandito il martello, esso è sovente rappresentato con una croce uncinata), ricollegandosi ai concetti della paternità divina e del principio divino originante. L’aspetto del Mjöllnir è di ardua ricostruzione, siccome gli scaldi norreni preferivano narrare delle prodezze e dei poteri magici del martello, piuttosto che della sua foggia; ma spesso è descritto come un’arma dal manico corto e tosso e con il pomolo finemente lavorato, recante incisioni che assomigliano alle fattezze di un volto umano. Il Mjöllnir poteva essere sollevato soltanto da Thor e da suo figlio Magni ed era in grado di frantumare qualsiasi cosa, ritornare indietro dal proprio padrone dopo essere stato scagliato e di rimpicciolirsi fino a diventare il ciondolo di una collana. Lo stesso Thor aveva bisogno di speciali guanti in ferro per brandirlo ed egli sfruttava anche una cintura magica, la quale raddoppiava la propria potenza e anche quella del martello, creando con i suoi colpi rombi di tuono. Nella cultura scandinava, il Mjöllnir era considerato un simbolo benaugurante ed era usato anche in molte cerimonie sacre. Ad esempio, sul letto di una coppia di novelli sposi era pratica comune posizionare un martello per augurare fertilità alla famiglia.

 

4. Gandiva

 

Fra le armi leggendarie più conosciute della mitologia induista vi è il Gandiva. Esso è un arco prodigioso usato dall’eroe Arjuna, uno dei fratelli Pandava, nel poema epico Mahābhārata. La leggenda vuole che Gandiva fu costruito dal dio Brahmā e custodito per ben 1000 anni. In seguito, l’arco sarebbe passato in mano a numerose divinità, quali Prajapati, Indra, Chandra e Varuna, per migliaia e migliaia di anni. Il dio del fuoco Agni, desideroso di riconquistare potere e magnificenza, decise di incendiare la foresta di Khandavaprastha e chiese l’aiuto di due valorosi guerrieri, Arjuna e Krishna. Arjuna, considerato il migliore arciere dei suoi tempi, richiese ad Agni un arco degno delle sue prodigiose abilità. Varuna cedette quindi il Gandiva al giovane, insieme a due faretre in grado di fornirgli un numero infinito di frecce con cui combattere. Un’altra versione della leggenda vuole che il Gandiva fosse stato donato ad Arjuna direttamente dal dio della distruzione e della creazione Shiva, cosicché egli potesse sconfiggere la dinastia dei Kaurava nella guerra di Kurukṣetra. Quando in seguito i fratelli Pandava decisero di ritirarsi sulla catena di monti dell’Himalaya, Agni si ripresentò ad Arjuna e chiese che egli restituisse l’arco a Varuna, legittima proprietà degli dèi. Arjuna non poté che obbedire e gettò il Gandiva nelle acque del fiume Brahmaputra.

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3. Balmung

 

Facente parte delle armi leggendarie della mitologia norrena, Balmung è la spada dell’eroe Siegfried (o Sigurd) con cui uccise il malvagio drago Fafnir. Originariamente, la spada era chiamata Gram, dal norreno antico gramr (“ira”), ma nel Nibelungenlied essa è denominata Balmung, mentre ne L’anello dei Nibelunghi di Richard Wagner assume il nome di Nothung. Il primo possessore di Balmung era Sigmund, padre di Siegfried, che la ottenne estraendola dal tronco dell’albero Barnstokkr, similmente a ciò che avvenne nella leggenda di Re Artù. La spada era stata posizionata lì da Odino e lo stesso dio decide di spezzarla in due parti dopo il combattimento finale fra Sigmund e re Lyngvi. La madre di Siegfried, Hjördis, decide di tenere i due pezzi della spada per donarli al figlio. Il giovane Siegfried è cresciuto e addestrato dal fabbro Reginn, il quale lo prega di recuperare l’oro della propria famiglia, rubato dal fratello Fafnir dopo aver ucciso il loro padre. Siegfried accetta, ma solamente ad una condizione: che egli forgi per lui una spada adatta all’epica impresa. Reginn costruisce per lui due spade, che però si rivelano deboli e sono ridotte in pezzi da Sigurd quando egli le testa contro un’incudine. Disperato, Reginn chiede a Hjördis i frammenti di Balmung, con cui poi forgia una spada così robusta da tagliare a metà l’incudine. Prima di recarsi da Fafnir, Sigurd si vendica dei torti arrecati in vita al padre e uccide re Lyngvi. Quindi viaggia verso Gnitaheiðr, luogo dove dimora il drago, e allestisce una trappola per ucciderlo senza farsi scoprire. Reginn gli propone, infatti, di scavare una buca dove egli si sarebbe nascosto e avrebbe colpito il nemico al ventre da sotto, ma Odino consiglia all’eroe di scavarne più di una, in modo tale da far colare via il suo sangue e non morire annegato in esso. Dopo aver sconfitto Fafnir, Siegfried si lava nel suo sangue e diviene immortale, fatta eccezione per un punto sulla spalla dove vi si era posata una foglia, e mangia il cuore del drago, che gli dona il potere di capire il linguaggio degli animali.

 

2. La balestra di Guglielmo Tell

 

La leggenda di Guglielmo Tell è passata alla storia grazie all’apporto di molte grandi figure della cultura europea, quali ad esempio Friedrich Schiller e Gioacchino Rossini. Parimenti all’eroe è divenuta celebre la sua balestra, degna menzione di questa lista di armi leggendarie. Secondo la storia tramandata in Svizzera, Tell si sarebbe recato nel comune di Altdorf, dove però non avrebbe reso omaggio al cappello imperiale appeso, per volere del balivo Albert Gressler, in cima ad un’asta nella piazza principale della città. Tale gesto significava ignorare il dominio degli Asburgo sul luogo e comportava la confisca di ogni bene o una condanna a morte. Per avere salva la vita, Tell fu sfidato da Gressler in una gara di “tiro a segno”: Tell avrebbe dovuto centrare con la freccia scagliata dalla propria balestra una mela posizionata sulla testa di suo figlio. L’uomo, abile cacciatore, riuscì nell’impresa ma fu accusato di volere attentare alla vita di Gressler, poiché aveva nascosto una seconda freccia nella giacca, qualora le cose fossero andata per il verso sbagliato. Tell fu arrestato e obbligato a salire su una barca diretta alla prigione di Küssnacht. Tuttavia, proprio mentre egli attraversava il Lago dei Quattro Cantoni insieme agli aguzzini, si scatenò una violenta tempesta che costrinse gli uomini a liberare Tell per aiutarli a raggiungere una sponda sicura. Approfittando di ciò, Tell fuggì saltando fuori dalla barca e, trovato Gressler, lo affrontò e uccise per vendicarsi. Questo episodio segna, secondo la tradizione elvetica, la liberazione della Svizzera originaria con la cacciata dei balivi dalle terre della popolazione svizzera. L’arciere avrebbe poi anche preso parte alla battaglia di Morgarten che scacciò via anche gli Asburgo.

 

1. Il vaso di Pandora

 

Può una semplice scatola far parte di una classifica di armi leggendarie? Se si parla del vaso di Pandora, sì. Nella mitologia greca lo scrigno di Pandora è il contenitore di tutti i mali esistenti ed è diventato talmente noto nei millenni da essere ormai assunto come espressione fissa per riferirsi ad un oggetto dalle proprietà catastrofiche. Il mito tramandato da Esiodo nel poema Le opere e i giorni racconta che Pandora ricevette in dono da Zeus un vaso, con la raccomandazione da parte del re degli dèi di non aprirlo mai, poiché contenente i mali della malattia, la vecchiaia, la gelosia, la pazzia e il vizio. Tali piaghe fino a quel momento non avevano mai afflitto il mondo degli esseri umani, i quali avevano sempre vissuto in pace e senza conoscere alcuna sofferenza, nemmeno quella della morte. Infatti essi erano come delle divinità, immortali. Ma Pandora non aveva avuto soltanto in dono lo scrigno, bensì anche la curiosità dal dio Ermes, quindi non passò molto prima che ella cedesse alla tentazione di aprirlo e liberare le malignità al suo interno. Sul fondo, troppo lenta ad uscire, rimase intrappolata la Speranza, e così si compì la vendetta di Zeus contro gli uomini, che avevano ricevuto il fuoco dal titano Prometeo. Il mondo diventò quindi un luogo orribile, inospitale, un deserto segnato solo dal male e dalla disperazione. Per rimediare al proprio errore, Pandora decise di scoperchiare nuovamente il vaso, cosicché potesse uscire anche la Speranza e il mondo tornò a vivere.

Immagine di copertina: Wikipedia

A proposito di Sara Napolitano

Ciao! Sono Sara, studentessa iscritta al terzo anno del corso di laurea Lingue e Culture Comparate presso l'università "L'Orientale" di Napoli. Studio inglese e giapponese (strizzando un po' di più l'occhio all'estremo Est del mondo). Le mie passioni ruotano attorno ad anime, manga, libri, musica, sport, ma anche natura e animali! Da sempre un'irriducibile curiosa.

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